Bruxelles – Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato senza remore all’alleato americano che Israele si opporrà alla creazione di uno Stato palestinese alla fine della guerra contro Hamas. Ma l’Ue non si rassegna: al Consiglio Affari Esteri previsto lunedì 22 gennaio, i 27 cercheranno di rilanciare la soluzione dei due Stati in due discussioni separate con i ministri degli Esteri di Israele e dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Nella capitale europea arriveranno, oltre all’israeliano Israel Katz e il palestinese Riyad al-Maliki, anche i ministri degli Esteri di tre Paesi chiave della regione: Arabia Saudita, Giordania ed Egitto. Ed il Segretario generale della Lega degli Stati arabi, Ahmed Aboul Gheit. Una “coreografia piuttosto complessa”, come l’ha definita un alto funzionario Ue ,su cui l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, “ha investito fortemente dal primo giorno” del conflitto.
Gli argomenti principali del “balletto” saranno la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e la necessità di un’ assistenza continua e senza ostacoli alla popolazione palestinese, un rinnovato appello per il rilascio degli ostaggi e la piena implementazione – da parte di Israele ed Hamas – delle risoluzioni delle Nazioni Unite, la situazione in Cisgiordania e i rischi di un’escalation regionale, anche nel Mar Rosso. Ma i ministri dei 27, insieme ai partner arabi, rifletteranno anche sul “giorno dopo”, su un possibile piano di pace e della necessità di passi concreti per rilanciare la soluzione dei due Stati, anche attraverso il continuo sostegno all’Autorità palestinese.
Gli obiettivi sono “una piena normalizzazione dei rapporti di Israele con i Paesi arabi, la sicurezza di Israele e uno Stato palestinese indipendente”. Una mission impossible, all’indomani della nuova chiusura di Netanyahu alla possibilità di lavorare per la creazione di uno Stato sovrano palestinese che coesista pacificamente con Israele. “Nessun diplomatico o politico israeliano ha mai parlato della soluzione dei due Stati dal 7 ottobre”, ammettono fonti europee. Anzi, diversi ministri – e ora anche il capo di governo – hanno pubblicamente rigettato quell’orizzonte.
Orizzonte negato peraltro anche da Hamas, che aspira alla distruzione dello Stato d’Israele. Ma pe l’Ue è “molto difficile immaginare alternative, per il popolo palestinese l’unica possibilità di avere un futuro è di avere un proprio Stato che conviva di fianco a Israele“. Se con Hamas, che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica, non esistono finestre di dialogo, Tel Aviv è uno strettissimo partner di Bruxelles, con cui l’Ue intrattiene dal 2000 un Accordo di Associazione. Un alto funzionario europeo ha aperto alla possibilità di fare pressione a Israele per sciogliere le resistenze vero la soluzione dei due Stati: “Stiamo proponendo alcune idee agli Stati membri, e parte di queste idee riguardano chiaramente anche come potremo usare le nostre condizionalità in futuro“.
Dall’anno della sua istituzione, l’Accordo di Associazione Ue-Israele è stato spesso bersaglio di dure critiche. Un accordo che si fonda sui valori comuni condivisi di democrazia e rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali, che Israele calpesta sistematicamente non solo nell’attuale bombardamento massivo di Gaza, ma anche con l’occupazione progressiva della Cisgiordania e lo sfollamento forzato delle comunità palestinesi. Rimettere in discussione l’accordo significherebbe mettere sul tavolo una serie di agevolazioni commerciali che per l’economia di Israele – per cui l’Ue è il primo partner commerciale – sono di vitale importanza.
A che punto sono i lavori sulla missione navale Ue nel Mar Rosso
Su un binario parallelo il Servizio Europeo d’Azione Esterna (Seae), è al lavoro per proporre ai 27 un regime di misure restrittive per i coloni israeliani estremisti: “Gli americani l’hanno fatto, il Regno Unito l’ha fatto, ora sta a noi sanzionare persone che sono un ostacolo alla pace”, ha dichiarato una fonte Ue. L’altro punto su cui si concentreranno gli scambi tra i ministri è l’allargamento delle tensioni al Mar Rosso, dove da ormai due mesi i ribelli Houthi – foraggiati dall’Iran – attaccano dallo Yemen le navi cargo che attraversano il canale di Suez.
I 27 discuteranno della missione navale a guida europea che il Seae vorrebbe rendere operativa il prima possibile. Sicuramente non già lunedì, dove l’obiettivo è solo confermare che “il principio che l’Ue dovrebbe essere presente con un’operazione militare sia accettato” da tutti. Una missione difensiva, che implichi l’uso della forza per rispondere al “fuoco in arrivo” e che possa contare su almeno “tre navi” militari in grado di abbattere “missili, razzi o droni” lanciati contro le imbarcazioni dirette o provenienti dal Canale di Suez.
L’idea è quella di allargare Agenor, un’operazione già esistente sullo stretto di Hormuz, nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano. Sarebbe la scelta più rapida, perché eviterebbe di passare dai parlamenti nazionali (quelli che lo richiedono): “Stiamo parlando con i Paesi membri che ne fanno parte”, ha spiegato la fonte. Della missione Agenor fanno parte Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Olanda e Norvegia. La missione, che non prevede “operazione a terra”, sarà infatti “aperta” alla partecipazione di Paesi non Ue, interessati a preservare la libertà di navigazione nel Mar Rosso. L’obiettivo resta approvare la missione nel Consiglio Affari Esteri del 19 febbraio.