Bruxelles – Dopo il governo, la presidenza della Repubblica. I nazionalisti di sinistra in Slovacchia provano a fare l’en plein istituzionale, mettendo nel mirino le elezioni presidenziali in programma il prossimo 23 marzo. Con l’uscita di scena della presidente in carica, l’europeista Zuzana Čaputová, i due partiti socialdemocratici al potere dopo le legislative del 30 settembre punteranno su un candidato comune, il leader di Hlas-Sd e speaker del Parlamento nazionale, Peter Pellegrini, con la verosimile convergenza della terza forza di maggioranza – l’estrema destra filo-russa del Partito Nazionale Slovacco – in caso di ballottaggio il 6 aprile.
Pellegrini ha annunciato lo scorso 8 gennaio la sua disponibilità a correre alle presidenziali con il sostegno del partito Smer-Ssd del premier Robert Fico, e oggi (19 gennaio) è arrivata l’ufficialità della candidatura. In Slovacchia la carica del presidente della Repubblica ha una valenza prevalentemente cerimoniale, ma detiene anche alcuni poteri cruciali in un momento di prevedibile erosione degli standard sullo Stato di diritto nel Paese dopo l’insediamento del governo nazionalista e filo-Mosca di Fico. Oltre a ratificare i Trattati internazionali e nominare i giudici delle Corti più importanti, può soprattutto porre il veto sulle leggi approvate dal Parlamento e concedere l’amnistia, prerogative attualmente in mano all’europeista Čaputová ma che presto rischiano di passare al leader della forza che di fatto ha deciso le sorti del Paese dopo le urne.
Al momento Pellegrini sembra essere il favorito in uno scenario di ballottaggio. Lo sfidante più credibile è il candidato del Partito Progressista, l’ex-ministro degli Affari europei Ivan Korčok, su cui potrebbero decidere di convergere tutti i partiti centristi e liberali di opposizione per tentare di frenare l’avanzata dei nazionalisti per conquistare le maggiori cariche istituzionali. Korčok potrebbe anche sfruttare l’ondata di proteste che da settimane sta interessando le maggiori città della Slovacchia, in opposizione ai piani del premier Fico di modificare il Codice Penale con l’abolizione dell’ufficio del procuratore speciale (che si occupa di reati gravi come quelli relativi alla criminalità organizzata e alla corruzione di alto livello). La denuncia delle opposizioni guidate dal leader del Partito Progressista Slovacco ed ex-vicepresidente del Parlamento Ue, Michal Šimečka, è di un tentativo di indebolimento del sistema giudiziario, in un Paese in cui lo stesso attuale primo ministro si era dovuto dimettere nel 2018 a seguito dell’omicidio del giornalista Ján Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírová, che avevano denunciato legami tra la ‘ndrangheta e l’élite slovacca (tra cui esponenti del suo partito Smer).
Non è un caso se questa settimana anche alla sessione plenaria del Parlamento Ue è arrivato un duro attacco a larghissima maggioranza (496 voti favorevoli, con 70 contrari e 64 astensioni quasi esclusivamente dalle forze di estrema destra) al nuovo governo di Bratislava. Gli eurodeputati hanno messo nero su bianco i propri dubbi sulla capacità della Slovacchia di combattere la corruzione e di proteggere il bilancio dell’Unione Europea “qualora venisse adottata la riforma del Codice Penale proposta”, proprio per lo scioglimento della Procura speciale. A questo si sommano le preoccupazioni sul “linguaggio inappropriato e irrispettoso” usato dal premier Fico in reazione alle critiche dell’opposizione, così come sui piani di adozione di “leggi che minano lo spazio civico, limitano il lavoro delle Ong e stigmatizzano le organizzazioni che ricevono finanziamenti stranieri“. Tutto questo ricordando che gli attacchi verbali contro individui e rappresentanti dei media “in passato hanno contribuito a creare un ambiente in cui sono stati commessi crimini violenti” come gli omicidi di Kuciak e Kušnírová.
La Slovacchia rosso-nera
Dopo le elezioni del 30 settembre dello scorso in Slovacchia, la socialdemocrazia filo-russa di Smer-Ssd è emersa come prima forza in Parlamento, conquistando il 22,95 per cento delle preferenze. Al secondo posto il Partito Progressista del vicepresidente del Parlamento Ue, Michal Šimečka (17,96), e al terzo posto Hlas-Sd (14,70). Con solo altri quattro partiti sopra la soglia di sbarramento al 5 per cento – i conservatori di OĽaNO, il Movimento Cristiano Democratico, i liberali di Libertà e Solidarietà e la destra euroscettica filo-russa del Partito Nazionale Slovacco – è stato subito chiaro che i 27 deputati di Pellegrini sarebbero stati determinati per la formazione di qualsiasi maggioranza. Le opzioni erano due: o una coalizione europeista e filo-Ucraina (in cui avrebbe potuto anche essere premier) con progressisti, cristiano-democratici e i liberali, o un’alleanza con le due forze filo-russe, i socialdemocratici di Smer e la destra estrema del Partito Nazionale Slovacco.
La partita è sembrata aperta fino a inizio ottobre, quando lo stesso Pellegrini ha convocato una conferenza stampa per annunciare il suo appoggio alla seconda opzione, denunciando presunti “problemi ideologici” tra i progressisti e i cristiano-democratici in un’ipotetica maggioranza di governo (comunque abbastanza stabile con 82 deputati). Da Šimečka è arrivata l’accusa di aver deciso un sostegno a Fico fin dal giorno dopo le elezioni perché “interessi più forti” li legano. Pellegrini, ex-premier tra il 2018 e il 2020 e leader del partito fondato nel 2020 dopo la scissione da Smer, ha invece assicurato che “con la nostra presenza garantiremo che l’appartenenza della Slovacchia all’Ue e alla Nato non sia messa a repentaglio“. In altre parole Hlas-Sd vuole porsi come garanzia di una politica estera di continuità, attraverso un costante ricatto a Smer (42 deputati) e nazionalisti di destra (10) di abbandonare la coalizione in caso contrario.
Ma la decisione di dare vita a un governo tra sinistra socialdemocratica ed estrema destra nazionalista nel Paese ha avuto anche conseguenze a livello europeo. Il 12 ottobre la Presidenza del Partito del Socialismo Europeo (Pse) ha deciso di sospendere l’adesione dei partiti slovacchi Smer-Ssd e Hlas-Sddopo la scelta di campo delle forze guidate rispettivamente da Fico e Pellegrini: “Il memorandum d’intesa firmato dai tre partiti non è compatibile con i valori e i principi progressisti della famiglia europea dei socialisti e dei socialdemocratici“. Allo stesso modo il Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento Europeo ha optato per sospendere l’adesione dei tre eurodeputati slovacchi (Monika Beňová e Katarína Roth Neve’alová, entrambe in quota Smer-Ssd, e Róbert Hajšel, anche lui eletto nel 2019 tra le fila del partito di Fico e oggi indipendente). Le maggiori preoccupazioni sulle politiche che “non trovano posto nella famiglia progressista” sono nel merito della guerra russa contro l’Ucraina, della migrazione, dello Stato di diritto e dei diritti della comunità Lgbtq+.