Bruxelles – La Commissione europea presenterà a febbraio le sue idee per una riforma istituzionale dell’Ue in una comunicazione che sarà trasmessa al Parlamento europeo e al Consiglio. Di fronte alla plenaria del Parlamento europeo riunita a Strasburgo, questa mattina Ursula von der Leyen ha dettato i tempi per la roadmap sulle riforme politiche annunciata pochi giorni fa, durante la conferenza stampa di avvio della presidenza belga alla guida dell’Ue.
“Questo Parlamento ha già presentato idee coraggiose per una riforma dei nostri trattati. Il mese prossimo, la Commissione esporrà le nostre idee in una comunicazione prima della discussione dei leader organizzata dal Presidente belga”, ha confermato questa mattina (17 gennaio) agli eurodeputati la presidente della Commissione europea.
Presidenza belga e Commissione europea sono sulla stessa linea sulla necessità di rendere prioritaria la riforma istituzionale. E’ giunta l’ora di pensare realmente all’Europa di domani: lo è in vista di un corposo allargamento che potrebbe portare un’Europa a Ventisette a diventare un’Europa a trentacinque; e lo è anche perché le elezioni europee che si terranno dal 6 al 9 giugno porteranno l’Unione in un nuovo ciclo istituzionale. Più l’Unione europea si allarga, più è necessario semplificare il sistema di voto in alcune materie che sono predominanti – come la politica estera – e in cui si rischia uno stallo continuo.
A che punto siamo
Con la comunicazione annunciata oggi da von der Leyen, la Commissione europea vuole contribuire a un processo che, nonostante la lentezza, si può considerare pienamente ri-avviato. Lo scorso 18 dicembre il Consiglio dell’Ue (l’istituzione in cui si riuniscono gli Stati membri a livello ministeriale) ha accettato di trasmettere al Consiglio europeo (dove si riuniscono, invece, i capi di stato e governo) la richiesta formale dell’Europarlamento di convocare una Convenzione per riformare i trattati europei, contenuta in una risoluzione adottata dall’Aula a maggioranza (piuttosto risicata) lo scorso 22 novembre in plenaria a Strasburgo.
La presidenza belga dovrà invitare il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, a porre all’attenzione degli altri capi di stato e governo la questione della revisione dei trattati agenda di un Vertice europeo, probabilmente quello in programma il 21 e 22 marzo. L’idea è quella di arrivare alle urne il 6-9 giugno 2024 con un’idea chiara su come portare avanti le discussioni con l’avvio della prossima legislatura.
Superare il voto all’unanimità in parte delle materie in cui oggi si utilizza (come la politica estera e la materia finanziaria) è il nodo cruciale delle richieste dell’Eurocamera, per un’Unione europea più efficiente e agile sullo scacchiere geopolitico e in vista delle nuove adesioni. Meno impasse e meno stalli in sede di Consiglio europeo, dove un singolo Stato oggi può oggi di fatto bloccare una decisione che mette d’accordo gli altri 26. Gli eurodeputati sostengono un sistema legislativo meno sbilanciato nei confronti dell’Eurocamera, chiedendo il diritto di iniziativa legislativo (ora in capo alla sola Commissione europea) e aumentando il numero delle decisioni a maggioranza qualificata in seno al Consiglio.
Il testo delle richieste del Parlamento è firmato da ben cinque eurodeputati co-relatori, uno per gruppo politico che sostiene la proposta: il belga Guy Verhofstadt per Renew Europe, il tedesco Sven Simon per il Ppe, il tedesco Gabriele Bischoff per i Socialisti&Democratici (S&D), il tedesco Daniel Freund per i Verdi europei e il tedesco Helmut Scholz per la Sinistra. A non sostenere il progetto di riforma, come previsto, sono stati i Conservatori e Riformisti di Ecr (di cui fa parte Fratelli d’Italia) e la destra di Identità e Democrazia (di cui fa parte la Lega), che sono a loro volta contrari all’idea di riformare i trattati.
Come si riforma l’Ue
Per l’avvio del processo, l’Eurocamera fa leva sulla cosiddetta procedura ordinaria dell’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea (Tue), che prevede che sia il Consiglio europeo a maggioranza semplice (14 Stati su 27) a decidere di convocare una convenzione, che sarà composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione. I capi di stato e governo, sempre a maggioranza semplice, possono decidere di non aprire una vera convenzione se non ci sono modifiche drastiche da approvare, ma solo una conferenza intergovernativa. E se si dovesse arrivare a trovare un accordo sulle modifiche ai trattati, ciascuno Stato membro dovrà poi approvarle.
Attualmente c’è un blocco di almeno 13 Stati membri – Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Svezia e Slovenia – che si è opposto con fermezza alla modifica dei Trattati europei, definendo “prematura” l’idea di riformare i trattati. A rimettere in moto il processo di riforma è stata la Conferenza sul futuro dell’Europa, l’unico esercizio di democrazia partecipativa nella storia dell’Ue che per quasi dodici mesi ha portato 800 cittadini – casualmente selezionati da tutti e Ventisette gli Stati membri – a discutere di futuro dell’Unione Europea e per individuare con quali priorità andare a rendere più solido il progetto di integrazione comunitaria.
Dalla Conferenza è arrivata la richiesta diretta, attraverso le 49 raccomandazioni, di aprire la convenzione, ma anche se l’iniziativa era sostenuta da governi dal peso politico della Germania, la Francia e l’Italia, l’iniziativa si era di fatto arenata, frenata dagli Stati più piccoli, che si appellano alla garanzia del potere di veto per avere più peso politico in seno al Consiglio, dove altrimenti rischiano di “sparire”.
La riforma dei trattati non è l’unico modo di ripensare l’Unione europea, è possibile sfruttare le cosiddette “clausole passerella” per passare a un voto a maggioranza qualificata in alcuni settori politici dove ora è richiesta l’unanimità. L’opzione è una procedura introdotta dal Trattato di Lisbona che consente di modificare i Trattati europei attraverso una modalità semplificata, permettendo in seno al Consiglio europeo il voto sulla singola proposta di modifica senza l’unanimità degli Stati ma con una maggioranza qualificata. In una comunicazione con cui ha dato seguito alla Conferenza sul futuro dell’Europa, Palazzo Berlaymont si è espresso a sostegno di un approccio di questo tipo per quanto riguarda l’energia, la fiscalità e per aspetti importanti della politica estera e di sicurezza comune come sanzioni e diritti umani.