Bruxelles – Bene quanto fatto fin qui, ma non benissimo. Va fatto di più quando si guarda l’agenda di riforme e l’attuazione del Piano nazionale per la ripresa (PNRR). Progressi sin qui si sono registrati, ma appaiono limitati e la partita della doppia transizione va chiusa, con successo, entro il 2026. Il 2024 deve essere l’anno in cui i PNRR conoscono un’accelerazione nella loro attuazione. Un obiettivo che in Parlamento europeo si incastona in un documento di lavoro che intende rinnovare attenzione e pressioni sui governi nazionali, responsabili delle riforme che richiedono sostenibilità e digitalizzazione.
Dati aggiornati all’8 gennaio 2024, “gli Stati membri dell’Ue hanno raggiunto il 15 per cento degli obiettivi nell’ambito del pilastro transizione verde e il 13 per cento di quelli nell’ambito del pilastro trasformazione digitale”, rileva il documento. “Il fatto che gli Stati membri debbano ancora raggiungere l’86 per cento degli obiettivi dei Piani nazionali per la ripresa legati alla doppia transizione significa che sarà importante che l’attuazione del programma per la ripresa riprenda slancio, ora che la revisione della maggior parte dei piani è stata completata”.
L’anno che si è appena aperto deve dunque essere quello della svolta. Svolta ‘green’, svolta tecnologica, svolta politica nella capacità di utilizzare fondi e mettere a terra le riforme su carta concordate. Un impegno che riguarda soprattutto l’Italia, secondo beneficiario dopo la Spagna per mole di contributi Ue da NextGenerationEU, il programma di ripresa post pandemico da 750 miliardi di euro, e il suo Recovery Fund (672,5 miliardi) che finanzia i PNRR.
Il pieno utilizzo di tali risorse è tanto più rilevante ora dato che si prevede che il Recovery Fund “sarà un fattore chiave di investimento pubblico nell’UE in tempi di politica monetaria più restrittiva, spazio di bilancio limitato degli Stati membri e rinnovata applicazione delle norme di bilancio dell’UE”, viene sottolineato. Nel ribadire questo aspetto non si fa che tracciare una volta di più l’identikit dell’Italia, Paese con il secondo livello più alto di debito/Pil nell’Ue dopo la Grecia, Paese chiamato a ridurre spesa e disavanzi, e alle prese con i problemi legati al maggior costo degli interessi sui titoli di debito derivati dall’aumento dei tassi della Bce. E’ dunque per il governo Meloni, più di altri, il richiamo contenuto nel documento di lavoro del Parlamento Ue. Una sfida.
Del resto attenzione e sforzi per la doppia transizione non sono minimi. Al contrario. Considerando che tutto andrà chiuso entro il 2026, “sullo sfondo dell’enorme fabbisogno di investimenti in questi settori politici strategici, il 2024 segna una fase cruciale nell’implementazione di NextGenerationEU”. Anche perché nel 2024 si torna alle regole del patto di stabilità, dopo l’accordo sulla riforma raggiunto a dicembre. Che piacciano o meno (questa è un’altra storia), i vincoli alla spesa pubblica ridurranno ancora meno i margini di manovra. Anche per questo bisognerà darsi da fare sul piano delle riforme e della corretta spesa dei fondi Ue.