Bruxelles – Anno nuovo, vecchi problemi. Ma per l’Ungheria il flusso di denaro da Bruxelles inizia a riempire le casse pubbliche. Dopo le decisioni tra fine novembre e metà dicembre 2023 prese dalla Commissione Europea, Budapest sta ricevendo le prime tranche di pagamento dei fondi Ue che finora erano rimasti congelati per questioni relative al mancato rispetto dello Stato di diritto. E al termine della prima settimana del nuovo anno, l’ammontare dei pagamenti ricevuti dall’Ungheria ha già superato il miliardo di euro.
In primis Budapest ha ricevuto 779,5 milioni (su 900 previsti) come pre-finanziamento del capitolo RePowerEu da 4,6 miliardi di euro relativo al Piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato dall’esecutivo comunitario il 23 novembre 2023. Il pagamento è della scorsa settimana, ma l’annuncio da parte della Commissione è arrivato solo ieri (4 gennaio): “Accelererà la realizzazione degli obiettivi del piano RePowerEu di risparmio energetico, produzione di energia pulita e diversificazione delle forniture energetiche, al fine di rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina”. A differenza del Pnrr generale, l’esborso dei pre-finanziamenti del capitolo RePowerEu è automatico e non vincolato dal rispetto dei ‘super-obiettivi’ sullo Stato di diritto. La seconda tranche da 120,5 milioni di euro “deve essere versata entro 12 mesi dall’erogazione della prima”, hanno reso noto i servizi della Commissione.
Ciò che però ha sollevato – e sta continuando a sollevare – polemiche a Bruxelles è lo scongelamento di oltre 10,2 miliardi di euro dei fondi della politica di coesione, della pesca e degli Affari interni, così come deciso dalla Commissione Ue lo scorso 13 dicembre. È stato il ministro delle Finanze, Mihály Varga, a rendere noto che l’Ungheria ha ricevuto il primo pagamento da 445 milioni di euro, specificando che sarà destinato agli sviluppi del Programma operativo Plus per il trasporto integrato (240 milioni) e di quello per lo sviluppo economico e l’innovazione (205). Mentre Budapest attende i restanti miliardi scongelati, è durissima la reazione della più consistente forza politica che sostiene il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen, il Partito Popolare Europeo (di cui la stessa presidente della Commissione fa parte). Come riporta Politico, in una lettera indirizzata alla numero uno del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, il presidente del Ppe, Manfred Weber, ha chiesto ai servizi giuridici dell’Eurocamera di “condurre un’analisi approfondita della situazione e a proporre una linea d’azione concreta per il Parlamento” a proposito della decisione dell’esecutivo comunitario: “Non siamo convinti del ragionamento della Commissione e invitiamo a richiedere una valutazione di questa decisione”.
La giungla dei fondi Ue congelati e scongelati all’Ungheria
Stando ai dati più accurati forniti a maggio scorso dai servizi della Commissione, i fondi Ue destinati all’Ungheria congelati da Bruxelles si attestavano a 28,6 miliardi di euro, divisi in tre macro-aree: Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi), fondi della politica di coesione (22,6 miliardi) e fondi per gli Affari interni (223 milioni). Le tre strade procedono in parallelo, ciascuna con una procedura specifica (o più, in base alla natura dei finanziamenti). La prima considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni. Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”.
Il secondo capitolo – decisamente il più complesso – è quello che riguarda i fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022 (e che rimangono congelati). Si tratta di una procedura a sé stante che riguarda il 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’.
Dei restanti 16,3 miliardi, 12,9 miliardi erano vincolati solo all’implementazione delle riforme giudiziarie (senza ulteriori criteri) e si tratta di quelli che sono stati in parte sbloccati da Bruxelles dopo la richiesta di revisione. I restanti 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali – ovvero le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (la legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e quella sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. La prima questione è responsabile per lo stallo del 3 per cento del budget della politica di coesione (cioè 678 milioni), la secondo del 9 per cento (oltre 2 miliardi) e la terza di un ulteriore 3 per cento (altri 678 milioni). Per sbloccare questi fondi non è sufficiente mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un pre-requisito), dal momento in cui devono essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali.
C’è infine da considerare l’ultima questione, quella dei 223,1 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni. Come appreso da Eunews a febbraio da fonti interne all’esecutivo comunitario – e poi confermato di nuovo a metà novembre – si tratta di 69,8 milioni dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 102,8 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 50,5 dal Fondo sicurezza interna (Isf). Nonostante la mancanza di trasparenza della Commissione renda complesso capire esattamente quali fondi siano stati scongelati, fonti vicine al dossier riferiscono che si tratterebbe sia dei fondi Isf e Bmvi (vincolati esclusivamente alle questioni giudiziarie secondo le decisioni di implementazione), sia di quelli Amif legati all’accesso all’asilo (integrazione), mentre rimarrebbero bloccati quelli legati al non-respingimento (rimpatri)