Eccoci qua, un’altra volta le elezioni europee usate come palestra per mostrare i muscoli, come piscina per vedere chi arriva più avanti. Ne abbiamo parlato in redazione, ci siamo chiesti cosa possiamo scrivere in un editoriale oggi, dopo la conferenza stampa della premier Giorgia Meloni ieri (4 gennaio) a Roma. La risposta è stata unanime: le candidature alle prossime elezioni europee, in programma il 9 giugno prossimo.
Sì perché anche questa volta Strasburgo per l’Italia rischia di diventare altro da sé. Meloni ha affermato ieri che sta pensando se candidarsi, per misurare la sua popolarità, il consenso dei cittadini a lei e al suo governo. Ha anche invitato la segretaria del Pd, Elly Schlein, e i leader degli altri partiti della coalizione di governo, Antonio Tajani e Matteo Salvini a considerare l’ipotesi. Una sorta di grande sondaggio, con una quantità di consultati che andrebbe ben oltre quelli sentiti dalle varie società del settore. Milioni di persone che dovrebbero essere chiamate a fare una graduatoria tra i politici italiani, per dare poi occasione, come ha di fatto ammesso Meloni spiegando che questa sarebbe una verifica del consenso, a settimane di dibattiti e confronti sui giornali e le TV.
Peccato che il 9 giugno, però, si eleggeranno i legislatori europei, che contano, in realtà, più di quelli nazionali, se è vero che, secondo autorevoli calcoli, almeno il 70 per cento delle legislazioni nazionali deriva da norme decise da governi e parlamentari a Bruxelles. Peccato anche che i deputati europei non possono essere membri dei governi nazionali, dunque in caso di elezione, anche sull’onda di un successo strepitoso alle urne, Meloni e gli altri leader dovrebbero o abbandonare il governo nazionale per dare il loro meglio all’Eurocamera oppure dovrebbero rinunciare all’elezione, come è già successo troppe volte in passato, far passare un primo dei non eletti che è probabilmente un personaggio di peso politico molto più scarso, e tornarsene a Roma a fare il mestiere che fanno adesso.
Europa come strumento, o di propaganda (con attacchi, o anche osanna, agli “euroburocrati”), o di misurazione del proprio consenso, di tenzone tra leader. Per poi dire, come ha fatto ieri Meloni, che sì, le piacerebbe avere una nuova maggioranza di destra al Parlamento, ma che, tutto sommato, anche la popolare tedesca Ursula von der Leyen potrebbe succedere a sé stessa. Si conferma insomma un ruolo marginale dell’Italia in Europa, di un’Italia che sempre più vota da sola contro provvedimenti adottati a larga maggioranza, che sul Mes riesce a mettersi contro tutti, sempre da sola, mentre gli altri andranno avanti proteggendo i loro sistemi finanziari e noi resteremo scoperti. Un’Italia che, alla fine, resta nel mainstream confermando von der Leyen al suo posto.
Peso vicino allo zero, dunque, e la scelta di essere un peso piuma. Anche solo considerare di usare le elezioni europee come palestra (o piscina) tutta nazionale vuol dire distogliere l’attenzione dalla materia vera del voto, vuol dire cancellare il ruolo programmatico dell’Italia nella prossima legislatura, perché i candidati di punta (che cancellerebbero le corse di tutti gli altri con il peso del loro nome) poi non siederanno mai in quell’Aula, dove al loro posto andranno persone che non si saranno potute presentare agli elettori come dovrebbero, che saranno scelte, probabilmente, con logiche tutte interne di partito senza neanche considerare se nel loro curriculum c’è qualcosa che le renderebbe utili a Bruxelles.
Nel 2022, commentando la scelta di tanti eminenti parlamentari europei italiani di lasciare Strasburgo per il Parlamento italiano scrivemmo su questo giornale che “l’Unione europea, come capita spesso, è bistrattata, è per la propria carriera una seconda scelta, per le proprie politiche o bastone o carota da agitare davanti agli elettori, a seconda delle posizioni, a seconda del momento”. E aggiungemmo perché non si scegliesse di “dimostrare quanto importante è l’Unione europea per l’Italia, quanto l’Italia tiene al suo ruolo a Bruxelles? Perché, forse, non ci si tiene, o, almeno, non ci tengono tutti. Dunque il Parlamento europeo si trasforma talvolta in palestra per nuovi dirigenti, ma più spesso, purtroppo, in dorata casa di riposo per vecchie glorie”.
La nuova maggioranza al governo, a quanto pare, viste le riflessioni in corso annunciate dalla premier, ci ha confermato la correttezza di queste previsioni. Infelici per l’Italia.