Bruxelles – Le transizioni verde e digitale sono salve e non sono in discussione. Gli Stati avranno modo e tempo di poter spendere per quelle che sono le grandi priorità dell’agenda a dodici stelle. Ma il percorso di rientro dagli sforamenti di deficit e debito sono chiari, vincolanti, e impegnativi. I ministri dell’Economia e delle finanze trovano l’accordo sulla riforma del patto di stabilità al termine della riunione informale straordinaria. “Una buona notizia per l’economia europea”, ragiona ed esulta a voce alta Paolo Gentiloni, commissario per l’Economia, preoccupato per un calendario che vede il 2023 agli sgoccioli e la necessità di ridare certezze a investitori e mercati. Ma questa buona notizia rischia di non esserlo troppo per Paesi come l’Italia, con i conti più in disordine di altri.
Tra le salvaguardie introdotte al nuovo patto i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90 per cento dovranno ridurre ogni anno questo rapporto dell’1 per cento, mentre per i Paesi con un deficit/Pil tra il 60 per cento e il 90 per cento dovranno tagliarlo di uno 0,5 per cento l’anno. L’Italia dovrà dunque ridurre di un punto percentuale l’anno il proprio debito, al pari di Belgio, Francia, Grecia, Portogallo, Spagna. Passa dunque la linea dura di Scholz, che già in tempi non sospetti aveva fissato questo obiettivo.
Non solo. Come tutti l’Italia dovrà ridurre anche il deficit, perché passa l’altra salvaguardia, anche questa cara ai tedeschi, che prevede di creare margini di spesa preventivi.
Cancellare i tetti massimi nei rapporti deficit/Pil e debito/Pil al 3 per cento e al 60 per cento non è possibile perché incardinati nei trattati sul funzionamento dell’Ue. Restano inevitabilmente i punti di riferimento, con una novità: l’accordo prevede che anche chi non sfora il tetto del 3 per cento deve ridurlo, per creare uno spazio dell’1,5 per cento così da essere pronti in caso di shock, senza dover mettere sotto pressione i conti.
Certo, resta ferma la possibilità per gli Stati di scegliere se intraprendere una traiettoria di riduzione a quattro o a sette anni, con un carico meno duro di lavoro. Per chi è oltre la soglia del 3 per cento del deficit/Pil l’aggiustamento richiesto è dello 0,4 per cento l’anno in quattro anni, che diventa dello 0,25 per cento l’anno sui sette anni.
L’Italia ottiene comunque una clausola transitoria che tiene conto dell’aumento del costo degli interessi sul ripagamento dei titolo di debito pubblico a seguito dell’innalzamento dei tassi operato dalla Bce. Stabilito che fino al 2027 le regole di bilancio comuni saranno applicate con flessibilità, con la Commissione che terrà conto del maggior onere dovuto all’aumento dei tassi senza così incidere sui margini di spesa, soprattutto utili alla doppia transizione.
“Ci sono alcune cose positive e altre meno”, il bilancio tracciato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. “L’Italia ha ottenuto molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall’altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo”. Magari non è il libro dei sogni, ma “abbiamo partecipato all’accordo politico per il nuovo patto di stabilità e crescita con lo spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi”.
Solo che adesso le riforme dovranno essere fatte, perché le multe della Commissione diventeranno vere e non più teoriche. Come garanzia dell’affidabilità dei governi nel percorso di riforme viene inasprita la procedura per debito eccessivo, che verrà resa più effettiva. Finora multe, per quanto previste, non sono mai state comminate. La Commissione intende ridurre gli importi delle multe (attualmente previsto un deposito fruttifero pari allo 0,1 per cento del Pil fino a una multa pari allo 0,2 per cento del Pil), ma comminarne di più.
L’opposizione insorge. “Tra qaualche anno ci troveremo a dover tagliare sanità e istruzione mentre potremo investire più fondi per l’acquisto di armi e munizioni: se fosse un film si chiamerebbe ‘il suicidio perfetto per l’Italia’”, critica Tiziana Beghin, capodelegazione del Movimento 5 Stelle in Parlamento europeo. ” Ci auguriamo che a gennaio, durante la fasi del trilogo, i negoziatori del Parlamento europeo possano modificare in meglio quest’accordo e aumentare gli spazi degli investimenti, senza i quali ci aspettano anni bui”. Adesso la parola spetterà al Parlamento.
I sindacati, intanto, parlano di “auto-sabotaggio” perché, sottolinea la Confederazione dei sindacati europei (ETUC), questo accordo implica taglio di spesa pubblica per molti Stati membri. “Questo accordo è una brutta notizia per milioni di lavoratori alle prese con il costo della vita“, lamenta la segretaria generale Ester Lynch.