Bruxelles – Era destinato a fallire e ha fallito. Sotto gli occhi dell’ex-presidente e fondatore della Polonia post-comunista, Lech Wałęsa, l’ormai ex-premier Mateusz Morawiecki è stato bocciato dal Sejm (la Camera bassa del Parlamento) nella sua ricerca di una disperata maggioranza dopo il crollo alle elezioni del 15 ottobre. E ora la palla passa immediatamente allo sfidante e vero vincitore della tornata elettorale di due mesi fa, il leader del centro-destra popolare, Donald Tusk, che è pronto a sedersi nuovamente al tavolo dei 27 leader Ue al Consiglio Europeo in programma giovedì e venerdì (14-15 dicembre).
Il partito di Morawiecki Diritto e Giustizia (PiS) aveva subito una dura sconfitta al voto, registrando la percentuale di preferenze più bassa dal 2011 (35,38 per cento) e staccando di soli 4,68 punti percentuali la seconda forza in Parlamento, Coalizione Civica guidata proprio da Tusk. È così che, nonostante sia la forza maggiore al Sejm, con i suoi 194 deputati su 460 non disponeva di nessuna alleanza possibile per raggiungere la maggioranza di 231 seggi, nemmeno unendosi alla destra ultranazionalista di Confederazione Libertà e Indipendenza (18). Alla prova della fiducia in Parlamento si è rivelata l’inconsistenza del tentativo di Morawiecki di ritornare al potere, con 266 deputati contrari e 190 a favore di un nuovo gabinetto ultraconservatore.
La palla passa subito a Tusk, che già oggi pomeriggio è stato nominato come primo ministro designato della Polonia con 248 voti a favore e 201 contrari. In un tour de force, è stato fissato per domani (12 dicembre) il voto di fiducia, prima di volare a Bruxelles per partecipare a un cruciale Consiglio Europeo in cui si discuterà del futuro dell’Unione Europea, dall’allargamento alla revisione di bilancio. Non sembrano esserci ostacoli politici di fronte al cammino del leader di centro-destra, dal momento in cui le tre forze coalizzate contro i conservatori di PiS dispongono di una comoda maggioranza al Sejm (248 seggi) – Coalizione Civica (157), i liberali di Terza Via (65) e i socialdemocratici di Lewica (26) – e nel corso delle consultazioni post-voto con il presidente della Repubblica era chiaramente emerso questo scenario.
La bocciatura di Morawiecki era in vista da settimane, dopo che anche il centro-destra ruralista del Partito Popolare Polacco – che fa parte della piattaforma Coalizione Polacca, a sua volta alleata con i liberali di Polonia 2050 all’interno di Terza Via – aveva subito messo in chiaro di non avere alcun interesse a sostenere un terzo mandato degli ultra-conservatori. Nonostante le evidenze politiche, il presidente polacco, Andrzej Duda, aveva deciso il 6 novembre di affidare al premier uscente Morawiecki il primo mandato per provare a trovare una maggioranza in Parlamento, ignorando di fatto l’appello dei tre partiti di opposizione alleati alle elezioni che avevano chiesto il mandato per formare un esecutivo guidato dall’ex-premier tra il 2007 e il 2014, nonché presidente del Consiglio Europeo (dal 2014 al 2019) e numero uno del Partito Popolare Europeo (Ppe) fino al 2022.
Quasi immediate le congratulazioni a Tusk da parte della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “La sua esperienza e il suo forte impegno nei confronti dei valori europei saranno preziosi per forgiare un’Europa più forte, a beneficio del popolo polacco”, ha scritto su X la leader dell’esecutivo comunitario, sottolineando che “non vedo l’ora di lavorare con lei, a partire dall’importante Consiglio Europeo di questa settimana“. Le ha fatto eco la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola: “In qualità di nuovo primo ministro della Polonia, convinto sostenitore dell’Unione Europea e caro amico, sono ansiosa di lavorare insieme per una Polonia prospera e un’Europa più forte, affronteremo le sfide attuali, uniti”.
La Polonia tra Ue, Ungheria e Italia
La fine del potere di PiS apre nuovi scenari per una Polonia che dal 2015 ha preso una strada di opposizione alle politiche di Bruxelles, stringendo un patto di sangue con l’Ungheria di Viktor Orbán su migrazione, diritti fondamentali e Stato di diritto. Sul primo tema è netta la posizione contraria a priori su tutti i dossier del Patto migrazione e asilo – in linea con quanto fatto da Budapest – con la diffusione di continue fake news sullo scenario che si tratteggerebbe al momento dell’adozione di una politica comune (come quella sulla ridistribuzione obbligatoria delle persone migranti in arrivo sul territorio Ue). Sulla questione dei diritti fondamentali Varsavia è invece entrata da anni nel mirino di Bruxelles sia per le discriminazioni nei confronti della comunità Lgbtiq+ ma soprattutto per la politica estremista in materia di negazione del diritto all’aborto.
Quasi sconvolgente è stata invece l’evoluzione dei rapporti tra Varsavia e Bruxelles sullo Stato di diritto. Dal 2021 è in corso un contenzioso legale determinato da due sentenze della Corte Costituzionale della Polonia: la prima del 14 luglio, quando i giudici di Varsavia hanno respinto il regolamento comunitario che permette alla Corte di Giustizia dell’Ue di pronunciarsi su “sistemi, principi e procedure” delle corti polacche, la seconda del 7 ottobre, quando la Corte Costituzionale ha messo in discussione il primato del diritto comunitario, definendo gli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Unione Europea (Tue) e diverse sentenze dei tribunali dell’Ue “incompatibili” con la Costituzione polacca. Al centro della contesa c’è la decisione di sospendere provvisoriamente le competenze della sezione disciplinare della Corte Suprema della Polonia, a causa di alcuni provvedimenti arbitrari contro magistrati non graditi alla maggioranza di governo. Mentre è in corso la procedura di infrazione da parte della Commissione Europea, la Corte di Giustizia dell’Ue ha condannato il Paese membro a pagare un milione di euro di multa al giorno: il conto è già salito oltre mezzo miliardo di euro – 526 milioni per l’esattezza – dal 27 ottobre 2021 al 14 aprile 2023. Proprio oggi la Corte Costituzionale della Polonia ha dichiarato incostituzionali le multe imposte sia in merito alla giustizia sia sulla miniera di lignite di Turów, aggravando il contenzioso con Bruxelles.
Al tavolo del Consiglio Europeo il cambio di guardia a Varsavia riguarda da vicino non solo Orbán, ma anche il governo italiano guidato da Giorgia Meloni. La premier perderà il suo più stretto alleato tra gli altri 26 leader Ue (nonostante le evidenti contraddizioni tra sovranismi) con possibili conseguenze sul Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) della leader di Fratelli d’Italia rieletta alla presidenza a fine giugno. Diritto e Giustizia è uno dei due più rilevanti partiti della famiglia conservatrice, che rappresenta allo stesso tempo l’ostacolo maggiore a un complicato accordo pre- o post-elettorale con il Partito Popolare Europeo di Manfred Weber in vista delle europee del prossimo anno. Se a prima vista un loro indebolimento potrebbe aprire qualche spiraglio per un confronto più stretto tra Meloni e Weber nel definire un’alternativa all’attuale maggioranza tra popolari, socialdemocratici e liberali al Parlamento Ue, non si può nascondere che per i conservatori europei la sconfitta del PiS in Polonia rappresenta l’ennesima frenata alle tornate elettorali nazionali del 2023. Dopo i successi del primo semestre in Svezia e Finlandia, i partiti di destra hanno subito dure battute d’arresto anche in Spagna e in Slovacchia, anche se le elezioni del 22 novembre nei Paesi Bassi hanno aumentato nuovamente l’attenzione sugli scenari politici in vista dell’appuntamento europeo del 6-9 giugno 2024.