Bruxelles – Il ministro delle Finanze, francese, Bruno Le Maire, afferma che attorno al tavolo “siamo al 90 per cento d’accordo su grandi linee” per il nuovo patto di stabilità, la presidenza spagnola continua a ripetere che “siamo vicini” ad un accordo. Ma quel poco che manca rischia di impattare sul lavoro che si rende necessario per dotare l’Europa e la sua eurozona di nuove regole sui conti pubblici. I ministri dell’Econonomia e delle Finanze iniziano le consultazioni oggi (7 dicembre), e l’obiettivo è andare avanti “per tutto il tempo necessario” al fine di raggiungere un accordo, o quanto meno provarci, per la riunione formale di domani (8 dicembre). Tradotto, si annuncia nottata.
La Francia si presenta alle trattative con richieste di flessibilità sul debito. Parigi si dice d’accordo con la proposta della Commissione europea di un aggiustamento strutturale di bilancio l’anno dello 0,5 per cento del Prodotto interno lordo per i Paesi con squilibri eccessivi, ma chiede uno ‘sconto’ dello 0,2 per cento se si fanno investimenti nei campi prioritari (transizione verde, transizione digitale, difesa).
“Dal 2024 più di 10 Stati saranno in procedura di deficit eccessivo” per un rapporto deficit/Pil superiore al 3 per cento”, ricorda Le Maire. Si tratta di Belgio, Bulgaria, Francia, Italia, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria. “Noi accettiamo la clausola dello 0,5 per cento di sforzo strutturale all’anno per chi è in procedura di deficit eccessivo ma rivendichiamo flessibilità affinché gli Stati investano, con aggiustamento che tenga conto degli investimenti” compiuti da questi Paesi per gli obiettivi del Green Deal europeo e del potenziamento dell’industria delle difesa. “Non vogliamo che per quattro anni questi 10 paesi in procedura per deficit eccessivo non siano in grado di investire. Sarebbe un errore politico ed economico”.
Ma il nodo sta nei numeri che la Germania continua a pretendere. Si tratta dei parametri per tenere sotto controllo la spesa. Berlino insiste con la salvaguardia per il deficit. Il tetto massimo del 3 per cento nel rapporto con il Pil, secondo le intenzioni tedesche, andrebbe abbassato. Si vuole un aggiustamento strutturale continuo e progressivo per scendere all’1,5 per cento così da avere un margine di manovra qualora le cose dovessero mettersi male.
Il ragionamento tedesco è il seguente: in caso di congiuntura negativa spendere vuol dire mettere i conti pubblici in una situazione di squilibrio, sforando tetti e parametri. Ma se si dispone già di un margine di manovra, allora la spesa in tempi difficili si rende possibile perché c’è già margine.
C’è poi la questione del debito. Per quei Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90 per cento (nel 2024 sarà il caso di Belgio, Francia, Grecia, Italia, Portogallo, Spagna) si vorrebbe una clausola di salvaguardia di riduzione dell’1 per cento l’anno su quattro anni. Una clausola più sostenibile della cosiddetta regola del ventesimo contenuta nel vecchio patto di stabilità attualmente ancora sospeso. Secondo questa regola, chi eccede la soglia di riferimento del 60 per cento deve impegnarsi a ridurre ogni anno un ventesimo della differenza con il parametro.
Nel caso italiano, il cui debito atteso nel prossimo anno è del 140,6 per cento in rapporto al Pil, l’eccesso di debito è dell’80 per cento rispetto al 60 per cento di riferimento. Un ventesimo di 80 per cento equivale a sforzi di riduzione del 4 per cento l’anno. La salvaguardia dell’1 per cento che a Berlino non dispiace risulterebbe conveniente per Roma, nonostante a Roma si pensi il contrario.
La presidenza spagnola tenta l’impresa di un accordo di principio nella notte, anche a costo di portarla per le lunghe. Proprio perché c’è la sensazione che manchi poco all’accordo si prova a strappare l’intesa. “E’ importante provare a cercare un accordo, è un messaggio di responsabilità di fronte ai mercati e ai cittadini“, afferma il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni, anche lui convinto che serva il giusto equilibrio tra consolidamento dei conti e investimenti. La proposta francese per maggiore flessibilità, con tanto di numeri, potrebbe offrire una via d’uscita. Negoziati permettendo.