Dal 6 al 9 giugno prossimi tutti i cittadini dei ventisette Paesi dell’Unione europea saranno chiamati a votare per il nuovo Parlamento europeo. Nessuno faccia finta di non saperlo, questa non sarebbe una scusa per non recarsi alle urne.
Però la paura che la partecipazione sia bassina, se non bassa o bassissima, c’è, come c’è in ogni consultazione di questo tipo oramai da tempo. Per questo le istituzioni europee, e il Parlamento per primo, si sta dando da fare per ricordare agli elettori questo appuntamento. E si inizia proprio dall’Italia, dal Sud, con il primo viaggio di sensibilizzazione della presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola, che in tre giorni visita Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Poi il tour continuerà, in lungo e largo per l’Unione, mentre altre campagne di informazione partiranno. Il nostro giornale seguirà da vicino questo processo, convinti come siamo che alle europee si debba andare a votare, con almeno altrettanta determinazione di quando di vota per i nostri Comuni, Regioni e Parlamento (anche se qui siamo stati piuttosto scarsini alle ultime scadenze).
Si vada a votare per il motivo che si sente più vicino, basta che si vada, perché è qui a Bruxelles che si determina, secondo alcuni attenti calcoli, circa il 70 per cento delle legislazioni nazionali, il che vuol dire che in questa città i nostri rappresentanti, membri dei governi o del Parlamento, o della Commissione, insieme, determinano la gran parte della nostra vita quotidiana, più di quanto facciano, in molte materie, i nostri Parlamenti nazionali.
Vogliamo chiamarci fuori? Vogliamo lasciare che altri decidano? Siamo delusi e pensiamo sia inutile avere ancora a che fare con la politica? Son tutte ragioni che però, un domani, ci impediranno di lamentarci, se non per piangerci addosso e dire che “il mondo è cattivo”.
Non ci si chiede di far molto: solo di scegliere un partito, un candidato (o anche nell’ordine inverso) e poi mettere una croce e un nome (ma questo non è obbligatorio farlo) sulla scheda.
Molti dicono che le elezioni europee non sono un indicatore delle preferenze politiche interne, che le persone votano più liberamente, secondo le preferenze del momento, perché non sentono che il voto le riguardi poi tanto. Questa ultima giustificazione (per il 70 per cento che dicevo prima) è sbagliata, ma è invece giusto andare a votare per chi si vuole, anche per un voto di protesta contro il proprio governo, o di approvazione spassionata. Quando si sceglie un partito democratico, che rispetta le istituzioni ed i propri elettori, ovviamente vanno bene tutti. Meglio dire la propria che tacere. In questo caso si può anche dire che “uno vale uno”: se non voto, incido zero, non conto.
Attenzione però: le persone che contribuiremo ad eleggere poi avranno un ruolo nelle decisioni; dunque, non gettiamo il nostro voto usandolo solo in maniera simbolica per mandare al diavolo qualcuno, scegliendo di votare per chi non si sa che pensa, che farà e come lo farà: perché poi quel deputato il suo peso potrebbe averlo e potrebbe incidere nelle nostre vite più di quel che immaginiamo.