Bruxelles – Il Patto migrazione e asilo potrebbe essere alle battute finali. Il condizionale è d’obbligo, per la complessità della materia, per le posizioni spesso distanti tra gli Stati membri e il Parlamento Europeo e tra gli stessi 27 governi, per il fatto che mancano pochi mesi alla fine della legislatura con ancora diversi file legislativi in alto mare. Ma è condivisa dai leader delle istituzioni comunitarie l’urgenza di chiudere tutto il pacchetto entro le elezioni europee in programma a giugno 2024: calendario alla mano, i tempi per arrivare a un accordo globale sono strettissimi. “Confidiamo di avere questa svolta sui pezzi di legislazione ancora pendenti alle riunioni del 7 dicembre o al più tardi del 18 dicembre“, è stata chiarissima oggi (30 novembre) la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, rispondendo alle domande dei giornalisti in un punto stampa con il primo ministro del Belgio, Alexander De Croo, prima dell’incontro per discutere delle priorità della prossima presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue.
Presidenza di turno che entrerà in carica dal primo gennaio 2024 ed erediterà i file ancora non ultimati – e quelli da finalizzare – dall’attuale presidenza spagnola. Ecco perché Bruxelles guarda con attenzione e con “alte aspettative” al lavoro di mediazione che sta conducendo Madrid in particolare sui negoziati del Patto migrazione e asilo: ciò che succederà ai triloghi (negoziati inter-istituzionali mediati dalla Commissione Ue) con l’Eurocamera a dicembre determinerà inevitabilmente la direzione verso cui procederà tutto il discorso futuro sulla migrazione e l’asilo nell’Unione. Gli scenari ormai sono due: o un via libera rapido e con molte concessioni senza possibilità di negoziato – più da parte degli eurodeputati verso i 27 governi Ue che viceversa – o un lavoro di anni finito ancora una volta a un punto morto. “Non possiamo dire di avere la certezza al 100 per cento di farcela, ma non c’è niente nella vita per cui si può dire di averla, ho fiducia che ce la faremo”, è stato il commento attendista di De Croo. Il premier belga sa che “finalizzare il Patto migrazione e asilo entro le elezioni europee è cruciale per tutti“, ma senza una svolta decisiva nelle prossime tre settimane difficilmente sarà possibile arrivare alla meta.
Prima di tutto perché bisogna considerare le tempistiche tecniche. Un’intesa di massima su tutto ciò che manca tra il 7 e il 18 dicembre “spianerà la strada per l’accordo politico su ogni dossier appena prima di Natale“, ha messo in chiaro la presidente Metsola. Dopodiché sarà compito della presidenza belga finalizzarlo, con tutti i file pendenti da approvare singolarmente sia dai 27 governi Ue sia dalle commissioni parlamentari competenti, “in modo da consentire al Parlamento di votarlo in sessione plenaria a febbraio o marzo”. Solo così il Patto migrazione e asilo potrà diventare realtà entro le elezioni del 6-9 giugno 2024, e su questo Metsola è categorica: “Non vedo una possibilità di presentarci ai cittadini senza un accordo“. Senza questa svolta sotto presidenza spagnola a dicembre tutto questo scenario invece sfumerà, e nessuno dei due leader nasconde “gli scogli” che ancora esistono tra i negoziatori: “Movimenti secondari, riunificazioni, bilanciamento tra protezione delle frontiere e accoglienza, solidarietà tra Paesi membri”, si sono completati a vicenda il premier De Croo e la presidente Metsola.
I file del Patto migrazione e asilo
Il Patto migrazione e asilo è stato presentato dalla Commissione Europea il 23 settembre 2020 ma, di fronte alle difficoltà del processo negoziale, nel settembre dello scorso anno i co-legislatori hanno concordato una tabella di marcia per adottare nove file entro la fine della legislatura (nella primavera del 2024). In fase di negoziati inter-istituzionali ci sono cinque file: quello sul Regolamento per le crisi e le cause di forza maggiore (dal 12 ottobre), sul Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione (dal 13 giugno), sul Regolamento modificato sulle procedure di asilo (iniziati il 18 aprile a livello di principi generali e ripresi il 13 giugno), sul Regolamento sullo screening (dal 25 aprile) e sul Regolamento Eurodac modificato (dal 15 dicembre 2022). Sempre il 15 dicembre dello scorso anno è stato raggiunto un accordo politico su tre dossier (ereditati dai negoziati sulle proposte della Commissione del 2016): la Direttiva sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, il Regolamento sul nuovo quadro di reinsediamento e il Regolamento sulle qualifiche. Dei nove file del Patto migrazione e asilo secondo la tabella di marcia di settembre 2022, il Parlamento Europeo non ha trovato un’intesa sulla Direttiva sui rimpatri (i 27 ministri partono invece dalla posizione parziale negoziata nel giugno 2019).
Al di fuori dei nove dossier previsti dalla tabella di marcia per adottare il Patto migrazione e asilo entro la fine della legislatura (nella primavera 2024) ci sono altre cinque dossier, di cui solo due sono stati adottati: la Direttiva Blue Card nel maggio 2021 e la trasformazione dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) nell’Agenzia europea per l’asilo (Euaa), da gennaio dello scorso anno. Dallo scorso 13 giugno è in fase di negoziati inter-istituzionali la Direttiva modificata sulla procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico di soggiorno e lavoro, mentre il mandato negoziale sulla Direttiva modificata sui soggiorni di lungo termine è stato adottato dal Consiglio dell’Ue il 23 novembre. Il Regolamento sulla strumentalizzazione nel campo della migrazione e dell’asilo è stato unito a quello su crisi e cause di forza maggiore dai 27 ministri Ue lo scorso 4 ottobre, mentre il Parlamento vede un’ampia resistenza al concetto di ‘strumentalizzazione’ e alla codifica nel diritto comunitario.
Qual è lo stato dei negoziati in vista di dicembre
Dato ormai per scontato che la Direttiva rimpatri sarà accantonata, i riflettori vanno puntati sui cinque pezzi del Patto migrazione e asilo – della tabella di marcia di settembre 2022 – che sono attualmente in fase di negoziato. Secondo quanto rendono noto fonti Ue a Eunews, sul Regolamento Eurodac modificato (relatore Jorge Buxadé Villalba, Ecr) si sono svolti sette triloghi e una delle principali questioni da risolvere riguarda i segnalatori di sicurezza: il Consiglio vorrebbe applicarli a tutte le categorie (per esempio per gli attraversamenti irregolari delle frontiere), mentre il Parlamento li considera solo per i richiedenti asilo e potrebbe prendere in considerazione l’estensione solo con “solide garanzie”. Il Consiglio ha poi proposto la revisione del Regolamento di Revisione del sistema di entrata e uscita (Ees) attraverso Eurodac, ma il Parlamento è contrario perché il primo ha una base giuridica Schengen e “non è rilevante” per Eurodac. Infine il Consiglio propone che le autorità nazionali di contrasto possano accedere a Eurodac prima di accedere ad altre banche dati nazionali, il Parlamento invece “respinge la visione di Eurodac come strumento di applicazione della legge” e sostiene il “principio a cascata” (prima la banca dati nazionale e poi Eurodac).
Sul Regolamento sullo screening (relatrice Birgit Sippel, S&D), si sono svolti sei triloghi e le questioni da risolvere partono dalla “finzione di non ingresso”, con il Parlamento che sostiene un uso facoltativo (obbligatorio solo se lo Stato membro utilizza la procedura di frontiera), e dalle garanzie procedurali per le persone sottoposte a screening (accesso a una copia del modulo di screening, motivi e condizioni del trattenimento e accesso all’assistenza legale per persone non richiedenti protezione internazionale). Il Parlamento ritiene poi che il meccanismo di monitoraggio dei diritti fondamentali debba comprendere sia lo screening sia la sorveglianza alle frontiere “per ridurre il rischio di violazioni”, mentre è contrario alla proposta della Commissione di consentire lo screening all’interno dei territori degli Stati membri. Il Consiglio è favorevole a concedere alle autorità nazionali l’accesso diretto ai sistemi Ue, mentre per il Parlamento l’accesso dovrebbe essere limitato.
Più complesso invece lo stato degli altri tre file. Il Regolamento sulle procedure di asilo (relatrice Fabienne Keller, Renew Europe) ha visto già sei triloghi ma ci sono ancora diversi concetti da negoziare. Il Parlamento propone di definire in modo più rigoroso le condizioni per una procedura accelerata (il tasso di riconoscimento del 20 per cento o inferiore dovrebbe riguardare le decisioni finali piuttosto che quelle di primo grado), mentre il Consiglio propone di ampliarla introducendo altri motivi per cui gli Stati membri sarebbero obbligati ad applicarla. Sulla procedura di frontiera legata alla finzione di non ingresso il Parlamento sostiene l’uso facoltativo, mentre per il Consiglio rimane obbligatoria “in alcuni casi”. Sull’ammissibilità delle domande il Parlamento ha mantenuto le decisioni facoltative per gli Stati membri, mentre il Consiglio le ha rese obbligatorie per esempio nel caso in cui il richiedente abbia già ottenuto la protezione internazionale in un altro Stato membro, o in caso di domanda successiva “senza nuovi elementi rilevanti”. Sul concetto di Paese terzo sicuro il Parlamento ha proposto ulteriori garanzie, al Consiglio basta l’esistenza di un accordo tra Ue e Paese terzo, “o se i richiedenti stessi acconsentono a essere rinviati in tale Paese” (gli eurodeputati hanno respinto la proposta di avere un elenco Ue di Paesi terzi sicuri, invece i 27 governi ne prevedono a livello Ue e nazionale). Il Parlamento ha anche proposto di introdurre un meccanismo di monitoraggio per garantire il rispetto dei diritti fondamentali, basandosi su quello previsto dal Regolamento sullo screening.
Sul Regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione (relatore Tomas Tobé, Ppe) si sono svolti sei triloghi. Le principali questioni da risolvere riguardano la governance, con “alcuni progressi computi sull’approccio comune generale, mentre la proposta del Parlamento di istituire un coordinatore vede la riluttanza del Consiglio. La solidarietà è una delle parti più delicate dei negoziati: il Consiglio considera i contributi finanziari alla pari della ricollocazione, mentre il Parlamento la indica come “misura primaria di solidarietà” e, in caso di fabbisogno non sufficiente nel pool di solidarietà, solo per il Parlamento la Commissione può distribuire il fabbisogno rimanente tra gli Stati membri. Sullo Stato membro responsabile ci sono opinioni diverse sulla portata dei criteri per la definizione: la posizione del Parlamento è di includere i membri della famiglia che risiedono legalmente in uno Stato membro come criterio, il Consiglio potrebbe accettare il primo Paese di ingresso come ultimo criterio, mentre anche sulla cessazione della responsabilità per il primo Paese di ingresso c’è differenza (il Parlamento la fissa a 12 mesi, il Consiglio a 24). Infine la definizione di familiare – in particolare l’inclusione dei fratelli – è stata eliminata nel mandato del Consiglio, e per la procedura familiare sono inclusi solo i fratelli e le sorelle non sposati di un minore.
C’è infine il più delicato di tutti i file, il Regolamento sulla crisi (relatore Juan Fernando López Aguilar, S&D), con tre triloghi già svolti dal 4 ottobre. Il problema principale è l’ambito di applicazione, perché il mandato del Consiglio include la strumentalizzazione come esempio di situazione di crisi e di forza maggiore, “anche se nel mandato del Consiglio non vi è alcuna fusione della base giuridica delle proposte”. Il mandato del Parlamento non contiene invece alcun riferimento alla strumentalizzazione. Sul processo decisionale il Consiglio chiede una decisione di esecuzione del Consiglio (invece dell’atto delegato del Parlamento) per determinare le situazioni di crisi. Il Parlamento ha inserito una procedura per la concessione della protezione internazionale prima facie in situazioni di crisi, il Consiglio è “riluttante, ma disposto a esplorare un compromesso”. Per quanto riguarda il meccanismo di solidarietà, per il Parlamento la ricollocazione è “l’unica misura di solidarietà prevista per le situazioni di crisi”, al contrario del Consiglio che prevede altre misure di solidarietà. Sulle deroghe all’acquis Ue, il mandato del Consiglio prevede l’estensione della durata della procedura di asilo e di frontiera a 8 settimane aggiuntive in situazioni di crisi, quello del Parlamento 4 settimane. E infine il Consiglio vuole un ampliamento del campo di applicazione della procedura di frontiera in situazioni di crisi (prendere decisioni sul merito di una domanda nei casi in cui la percentuale di decisioni che concedono l’asilo è pari o inferiore al 75 per cento), il mandato del Parlamento ha eliminato questa deroga.