Bruxelles – Con l’ultimo tempestivo aumento da 25 a 100 milioni di euro dell’assistenza umanitaria a Gaza, l’Unione europea ha letteralmente raschiato il fondo del barile. Fino alla fine dell’anno non ci sono più fondi destinati alle operazioni di protezione civile e aiuto umanitario (Echo), nemmeno dalla riserva per la solidarietà e gli aiuti d’urgenza (Sear). Tradotto in numeri, significa che Bruxelles ha sborsato 2,4 miliardi di euro per intervenire nelle crisi che hanno colpito le zone più calde del pianeta.
“La responsabilità per l’assistenza umanitaria non è divisa equamente”, ha denunciato il commissario Ue per la gestione delle Crisi, Janez Lenarčič. I due terzi delle risorse umanitarie in tutto il mondo provengono da tre donatori: gli Stati Uniti, la Germania e la Commissione europea. E in un 2023 segnato da conflitti vecchi e nuovi e da un grande numero di catastrofi naturali, lo sforzo dell’Ue è stato decisamente impegnativo.
Il bilancio iniziale dell’Ue per le operazioni di protezione civile e aiuto umanitario (Echo), previsto dal quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027, ammonta a circa 1,65 miliardi di euro all’anno. Un totale di 11,57 miliardi di euro in sette anni. Per l’anno in corso, 207,8 milioni di euro sono stati destinati all’Europa sudorientale e al vicinato europeo, 181,5 milioni per sostenere le persone colpite da conflitti, insicurezza, sfollamenti forzati e shock climatici nel Sahel, nella Repubblica Centrafricana e nel bacino del Lago Ciad, 330,7 milioni dedicati a programmi nell’Africa orientale e meridionale, 382,2 in Medio Oriente e Nord Africa per affrontare la crisi regionale in corso nello Yemen, in Siria e nei Paesi vicini, 237 milioni per le popolazioni più vulnerabili in Asia e in America Latina. Inoltre, erano già previsti nel bilancio annuale 141,5 milioni per rispondere ad emergenze improvvise e 122 milioni riservati a “crisi umanitarie impreviste che possono verificarsi nel corso dell’anno”.
Ma, secondo quanto riferito a Eunews da fonti europee, arrivati a novembre attraverso Echo sono stati mobilitati addirittura 2.412 miliardi di euro. Il bilancio annuale è stato infatti integrato da 579 milioni provenienti dalla riserva d’urgenza. I fondi restanti della Sear – circa 700 milioni – sono stati utilizzati attraverso un altro strumento di intervento per i disastri naturali, il Fondo europeo di Solidarietà.
Non solo i 300 milioni dedicati a Kiev e i 100 milioni trovati in fretta e furia per rispondere alla catastrofe umanitaria in corso nella Striscia di Gaza, ma anche disastri naturali in Turchia e Siria, in Afghanistan, in Marocco. Per citarne solo alcuni. “Stiamo vedendo l’impatto del cambiamento climatico sui fondi per l’assistenza umanitaria. Prima del mandato di questa Commissione, la media di richieste di assistenza ai centri di coordinamento di risposta alle emergenze (Ercc) era di venti all’anno, ora raggiunge sempre più o meno le 100 domande”, ha spiegato ancora Lenarčič.
Il commissario sloveno ha suggerito che “se tutti i Paesi membri raggiungessero i target indicati, non ci sarebbe un gap nei fondi” previsti per l’assistenza umanitaria. L’asticella volontaria è stata posta allo 0,7 per cento del reddito nazionale lordo (Gni). È un obiettivo ambizioso: l’Italia, ad esempio, dovrebbe versare all’incirca 19 miliardi all’anno. Da Bruxelles è arrivato l’appello a cercare di garantire almeno il 10 per cento di questo 0,7 per cento: prendendo il caso italiano, si tratterebbe di più o meno 2 miliardi all’anno. I Paesi europei, a detta di Lenarčič, hanno compreso l’urgenza e stanno aumentando la loro quota dedicata all’assistenza umanitaria Ue, ma non abbastanza da stare dietro all’impennata di situazioni di crisi che si stanno verificando. Ad esempio la Francia, che è entrata nella classifica dei dieci maggiori finanziatori di aiuti umanitari al mondo, e l’Austria, che di recente ha deciso di triplicare la propria quota. Ma soprattutto la Spagna di Pedro Sanchez, che a dicembre 2022 ha adottato una legge in cui si impegna a raggiungere l’asticella dello 0,07 del Gni entro il 2030. “Un esempio che speriamo sia seguito da altri”, ha auspicato Lenarčič.
Il Consiglio dell’Ue e il Parlamento europeo hanno già trovato l’accordo per aumentare i fondi per le operazioni di soccorso umanitario di 250 milioni nel 2024, ma il budget definitivo uscirà dalle negoziazioni per la revisione del quadro finanziario pluriennale. Ma l’Ue da sola non ce la può fare: il commissario Ue ha puntato il dito contro “diversi Stati che potrebbero fare di più”, in particolare i Paesi dell’Ocse e del G20, che “hanno l’ambizione di giocare un ruolo importante” a cui dovrebbero corrispondere “anche responsabilità, inclusa la fornitura di aiuti umanitari”. Una frecciatina finale al Regno Unito, che dal 2020 ha deciso di ridurre la propria linea di finanziamento umanitario. “È stato doloroso, perché era uno dei maggiori donatori al mondo”. Ma “per essere giusti”, Londa guarda ancora la maggior parte dei Paesi Ue al di sopra dell’asticella dello 0,7 per cento del Gni.