Bruxelles – Una missione a Budapest oggi per cercare di evitare il peggio fra due settimane. Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si è recato in visita nell’Ungheria di Viktor Orbán a pochi giorni da un vertice dei leader Ue decisivo sotto molti punti di vista, ma che potrebbe essere messo in stallo proprio per l’opposizione dura del più problematico tra i Paesi membri dell’Unione. “L’unità dell’Unione Europea richiede uno sforzo costante ed è la nostra principale forza”, è stato il messaggio che ha accompagnato la visita di oggi (27 novembre) di Michel a Budapest.
Come rendono noto funzionari a Bruxelles, l’incontro con Orbán si inserisce nel quadro delle imminenti consultazioni con altri leader dei Ventisette in vista del Consiglio del 14-15 dicembre. L’incontro sarebbe durato più di due ore e le discussioni “sostanziali” si sarebbero impostate sui contenuti della lettera inviata dal leader ungherese la scorsa settimana a Bruxelles. È stato proprio questo il campanello d’allarme per tutta l’Unione, considerati gli importanti indirizzi che dovranno essere decisi al vertice dei leader Ue su Ucraina, allargamento e revisione del bilancio pluriennale Ue. Nella lettera indirizzata proprio al presidente Michel, Orbán aveva messo nero su bianco il fatto che non potrà essere presa nessuna decisione sui finanziamenti per l’Ucraina, sull’apertura dei negoziati di adesione Ue a Kiev e su ulteriori sanzioni contro la Russia fino a quando non si terrà una “discussione strategica” a livello di Consiglio Europeo per fare il punto “sull’attuazione e sull’efficacia delle nostre attuali politiche” nei confronti dell’Ucraina, “compresi i vari programmi di assistenza”.
Budapest punta sul riconsiderare tutta la strategia di sostegno dell’Unione nei confronti di Kiev, a partire dagli obiettivi “realisticamente raggiungibili”. Questo significa prima di tutto finanziamenti in denaro che, dopo i 18 miliardi arrivati nel 2023 in pacchetti mensili da 1,5 miliardi di euro, dovrebbero essere inquadrati dal budget comunitario per i prossimi anni, come previsto dalla proposta di revisione del bilancio pluriennale Ue 2021-2027. L’obiettivo della Commissione Europea è quello di creare una riserva finanziaria da 50 miliardi di euro per i prossimi quattro anni costituita di sovvenzioni e prestiti: mentre i 33 miliardi di prestiti saranno finanziati attraverso l’assunzione di prestiti sui mercati finanziari, i 17 miliardi di euro in sovvenzioni arriveranno direttamente dalle risorse aggiuntive previste dalla revisione del bilancio. Per il via libera dai Ventisette servirà però l’unanimità in Consiglio e qui si ritorna all’opposizione dell’Ungheria, che rischia seriamente di mettere in stallo anche le discussioni sull’intera revisione di bilancio pluriennale Ue, con un impatto per le prospettive strategiche dell’Unione sul medio e lungo periodo.
È evidente che le minacce ungheresi si impostano su una sorta di ricatto che Orbán sta cercando di mettere in atto nei confronti di Bruxelles, dal momento in cui a oggi sono congelati quasi 30 miliardi di euro (da diversi fondi) proprio ai danni di Budapest per le gravi preoccupazioni sul rispetto dello Stato di diritto nel Paese membro. Nonostante la Commissione Ue abbia dato il via libera giovedì scorso (23 novembre) al capitolo RePowerEu da 4,6 miliardi di euro relativo al Piano nazionale di ripresa e resilienza con un pre-finanziamento automatico da 900 milioni di euro, il leader ungherese sta cercando di mettere in stallo tutto il processo decisionale dell’Unione – anche sul sostegno finanziario all’Ucraina – fino a quando non saranno scongelati i primi 12,9 miliardi di euro relativi alla politica di coesione. In altre parole, niente fondi all’Ungheria, niente fondi all’Ucraina. “Il presidente Michel e il premier Orbán hanno concordato di rimanere in stretto contatto”, sono le uniche indicazioni che arrivano dalle fonti Ue a proposito di questo tema durante le discussioni di oggi a Budapest.
Tutti i fondi Ue congelati dell’Ungheria
I fondi Ue destinati all’Ungheria che attualmente sono congelati da Bruxelles si attestano a 28,6 miliardi di euro, divisi in tre macro-aree: Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi), fondi della politica di coesione (22,6 miliardi) e fondi per gli Affari interni (223 milioni). Le tre strade procedono in parallelo, ciascuna con una procedura specifica (o più, in base alla natura dei finanziamenti). La prima considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni. Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”.
Il secondo capitolo – decisamente il più complesso – è quello che riguarda i fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022. Si tratta di una procedura a sé stante che riguarda il 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’.
Dei restanti 16,3 miliardi, 12,9 miliardi sono vincolati solo all’implementazione delle riforme giudiziarie (senza ulteriori criteri) e sono quelli che potrebbero essere sbloccati da Bruxelles dopo la richiesta di revisione. I restanti 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali – ovvero le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (la legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e quella sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. La prima questione è responsabile per lo stallo del 3 per cento del budget della politica di coesione (cioè 678 milioni), la secondo del 9 per cento (oltre 2 miliardi) e la terza di un ulteriore 3 per cento (altri 678 milioni). Per sbloccare questi fondi non basterà mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un pre-requisito), ma dovranno essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali, come le potenziali violazioni dei diritti umani.
C’è infine da considerare l’ultima questione, quella dei 223 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni. Come appreso da Eunews a febbraio da fonti interne all’esecutivo comunitario – e poi confermato di nuovo questa settimana – si tratta di 69,8 milioni dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 102,8 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 50,5 dal Fondo sicurezza interna (Isf). E il conto arriva a quei 28,6 miliardi di euro congelati, su cui i servizi dell’esecutivo comunitario continuano a non vedere “sviluppi soddisfacenti che ci consentirebbero di dare una valutazione positiva”, come recentemente reso noto dal commissario per il Bilancio, Johannes Hahn.