Bruxelles – Centosedici giorni dopo l’appuntamento elettorale che potrebbe aver cambiato la storia recente di un intero Paese, la Spagna ha un governo. È un nuovo esecutivo guidato da Pedro Sánchez, segretario generale del Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) e, come è definito in Spagna “presidente del governo” dal 2018 a oggi, ma questa volta in una conformazione che sta scatenando un polverone politico – e a tratti sociale – a Madrid. Perché, come da previsioni, per il via libera di oggi (16 novembre) alla fiducia al governo progressista di sinistra è stato decisivo il voto degli indipendentisti catalani, dopo mesi di trattative che hanno portato all’intesa per l’appoggio esterno in cambio di una controversa legge per l’amnistia delle persone coinvolte nel referendum del 2017 sull’autodeterminazione della Catalogna
Con 179 voti a favore e 171 contrari il Congresso dei deputati ha concesso la fiducia al leader socialista, che sarà a capo di un governo composto dal Partito Socialista Operaio Spagnolo e dalla coalizione di sinistra Sumar. Le due forze politiche partivano da una base certa di 152 voti in Parlamento e – come emerge dal passaggio dall’Aula di oggi – potranno contare sull’appoggio esterno dei deputati di quattro forze regionaliste (più altri due del Blocco Nazionalista Galiziano e della Coalizione Canaria, unitisi all’ultimo): 5 del Partito Nazionalista Basco (Eaj-Pnv), 7 della Sinistra Repubblicana di Catalogna (Erc), 6 della coalizione di nazionalisti baschi progressisti Euskal Herria Bildu (Ehb), ma soprattutto i 7 di Junts per Catalunya. Proprio il partito secessionista catalano di destra fondato dall’ex-presidente della Generalitat de Catalunya e oggi eurodeputato, Carles Puigdemont, si è rivelato decisivo in una Spagna divisa dopo il voto del 23 luglio. A votare contro il nuovo governo di sinistra – che sarà vincolato da un’agenda che deve per forza di cose tenere conto delle istanze degli indipendentisti – sono stati i 137 deputati del Partido Popular, i 33 dell’estrema destra di Vox e l’esponente di Unione del Popolo Navarro.
“La Spagna è un Paese formidabile e sarà migliore se ci impegneremo per il bene di tutti, se ci sentiamo legati al destino dell’altro”, sono state le prime parole del premier socialista rieletto, che ha ricevuto le congratulazioni del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel: “Non vedo l’ora di continuare il nostro lavoro per rendere l’Ue più forte e adatta alle sfide che ci attendono”. Parole simili a quelle usate dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “L’Ue deve affrontare sfide importanti, lavoreremo insieme per affrontarle con successo e portare avanti il progetto europeo”. Da inizio luglio e fino alla fine di dicembre il premier spagnolo riveste anche il ruolo di presidente di turno del Consiglio dell’Ue. “Sánchez ce l’ha fatta”, ha esultato il capo-delegazione del Partito Democratico al Parlamento Europeo, Brando Benifei: “Un risultato importantissimo per tutta l’Europa dei diritti e della solidarietà, con un’agenda sociale chiara vince la sinistra e perdono i nazionalisti”. Per il premier uscente si tratta del terzo mandato consecutivo dalla mozione di censura nel 2018 contro l’ex-premier popolare, Mariano Rajoy, passando dalle elezioni anticipate del 2019 e da quelle di quest’anno.
Le polemiche sull’accordo tra Sánchez e i catalani
Rimane però altissima la tensione sulla questione dell’intesa che ha sbloccato l’appoggio di Junts per Catalunya al governo. “Sarà premier per il tempo che vorranno gli indipendentisti, ho detto a Sánchez che era un errore e lui è responsabile di quello che è successo oggi”, ha attaccato il presidente del Partito Popolare, Alberto Núñez Feijóo, andando comunque a stringere la mano al neo-premier eletto dopo il voto. Ma il leader socialista ha rispedito al mittente le accuse, rimproverandogli di aver “rinunciato a combattere ideologicamente contro l’estrema destra“, considerato il patto di governo pre-elettorale tra popolari e Vox. In una Spagna divisa, “dobbiamo costruire accordi tra persone diverse e a superare le differenze, è questo che fa vincere la maggioranza sociale”, ha aggiunto Sánchez, definendo l’amnistia per gli indipendentisti catalani “una misura nell’interesse della Spagna e in difesa dell’armonia tra gli spagnoli, non un attacco alla Costituzione“.
Già alla prima sessione del nuovo Parlamento ad agosto si era concretizzato l’avvicinamento tra i socialisti e i catalani – che aveva permesso l’elezione della socialista Francina Armengol a presidente del Congresso – anche se Junts aveva precisato che l’intesa non riguardava una possibile investitura di Sánchez a premier. Nel corso delle settimane successive sono stati gli alleati più stretti del Psoe, la coalizione di partiti di sinistra Sumar, a spingere sulla strada della costituzionalità di un’amnistia generale per tutte le persone coinvolte nell’organizzazione e lo svolgimento del referendum del 2017 sull’autodeterminazione della Catalogna. Il confronto tra la sinistra e i catalani è continuato a Bruxelles, quando la vicepremier e ministra del Lavoro uscente, Yolanda Díaz (leader della coalizione Sumar), il 4 settembre ha incontrato Puigdemont al Parlamento Europeo. Solo un giorno più tardi sono arrivate le condizioni per l’appoggio dall’esterno: riconoscimento della legittimità dell’indipendenza catalana, abbandono dell’iter giudiziario, creazione di un meccanismo di mediazione e di verifica, promozione della lingua catalana nell’Ue e legge per l’amnistia.
L’accordo di governo tra socialisti, Sumar e indipendentisti catalani è stato siglato mercoledì scorso (8 novembre) ed è stato subito chiaro che la legge sull’amnistia sarebbe stata un nodo non solo a Madrid ma anche a Bruxelles. Il commissario responsabile per la Giustizia nel gabinetto von der Leyen, Didier Reynders, ha inviato una lettera per chiedere maggiori informazioni per accertare il rispetto dello Stato di diritto, prima di essere tranquillizzato dal governo in carica sul fatto che qualsiasi legge di questo genere “passerà dal processo democratico del Parlamento“. Tuttavia per una parte consistente degli eurodeputati a Bruxelles la questione non può essere archiviata così velocemente e per questo motivo è stato inserito un dibattito sullo “Stato di diritto in Spagna” nell’agenda della prossima sessione plenaria (in programma il 22 novembre). “Il fatto che il Parlamento Europeo dibatta sull’amnistia penso sia il peggior modo di iniziare una legislatura, colpisce la nostra reputazione internazionale e la nostra democrazia”, è stato l’ultimo attacco del presidente del Pp Feijóo.