Bruxelles – Stop al regime del rinnovo automatico delle concessioni balneari, ‘sì’ a gare di assegnazioni aperte e rispettose di concorrenza e libero mercato. La Commissione europea richiama ancora una volta l’Italia, inviando il parere motivato che fa seguito alla procedura d’infrazione avviata il 3 dicembre 2020 per la politica illecita sui permessi di utilizzo delle coste e degli arenili. L’esecutivo comunitario sceglie di agire ‘in sordina’, senza dare pubblicità alla decisione, che non è inclusa nel tradizionale riassunto delle decisioni mensili sulle procedure contro gli Stati membri. E’, al contrario, solo registrata sul portale che ospita il registro delle procedure aperte.
Cambia poco. Il governo Meloni ha a disposizione due mesi per convincere l’esecutivo comunitario a non procedere oltre. Ciò vorrebbe dire deferimento alla Corte di giustizia dell’Ue, con il rischio di multe salate. Perché l’Italia non risulta solo in violazione delle normative comunitarie in materia di concorrenza, ma pure in contrasto con due sentenze della stessa Corte di giustizia dell’Ue (emesse rispettivamente il 14 luglio 2016 e il 20 aprile 2023). Il regime di rinnovo automatico, per di più decennale, non è compatibile con il Mercato unico e il suo funzionamento.
Da tempo Bruxelles chiede a Roma che la concessioni balneari “siano rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi”. A distanza di anni niente è cambiato. “So che il governo se ne sta occupando“, si era limitato a dire il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni, non più tardi di ieri (15 novembre), a margine della presentazione delle previsioni economiche e alla vigilia dell’adozione del pacchetto mensile d’infrazione. A quanto pare l’esecutivo Meloni non se ne è occupato in modo efficace, e l’invito è di fare di più e di meglio. E in fretta, onde evitare nuovi rinvii a giudizio.
Per non aver applicato correttamente le norme previste dalla direttiva sui ritardi di pagamento l’Italia, assieme a Belgio e Grecia, è stata deferita alla Corte Ue. La direttiva in questione obbliga le autorità pubbliche a pagare le fatture entro 30 giorni (o 60 giorni per gli ospedali pubblici). Cosa che sul territorio italiano non avviene. Non va bene. Perché, bacchettano a Bruxelles, “nell’attuale contesto economico le imprese, e in particolare le Pmi, fanno affidamento su pagamenti regolari per operare e mantenere l’occupazione”. La procedura aperta nel 2021 adesso finisce all’attenzione dei giudici di Lussemburgo.
Le cattive notizie per l’Italia non finiscono qui. L’esecutivo comunitario porta avanti la procedura d’infrazione avviata per l’assegno unico familiare, misura varata dal governo Draghi nel marzo 2022. Il sostengo per i figli unici a carico è riconosciuto alle persone che risiedono da almeno due anni in Italia, e solo se vivono in stessa famiglia dei loro figli. Secondo la Commissione, questa legislazione viola il diritto dell’Ue poiché “non tratta i cittadini dell’UE in modo equo, il che si configura come una discriminazione”. L’attuale governo non ha corretto il tiro, e il Paese si becca il parere motivato.