Bruxelles – Nessuna svolta storica da parte del capo dello Stato della Polonia, Andrzej Duda. La prima decisione post-elezioni rimane in linea con i formalismi, ma ha tutti i contorni di un rallentamento della formazione di un governo di rottura rispetto agli ultimi otto anni a guida ultra-conservatrice. Il capo dello Stato polacco ha affidato al premier uscente, Mateusz Morawiecki, il primo mandato per provare a trovare una maggioranza in Parlamento, nonostante per il suo partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS) le possibilità siano tendenti allo zero. Il presidente della Polonia – anche lui membro di PiS – ha preferito il candidato del primo partito emerso dalle urne al vero vincitore delle elezioni del 15 ottobre: il leader di centro-destra popolare, Donald Tusk.
“Ho deciso di continuare la tradizione parlamentare secondo la quale è il raggruppamento vincente ad avere per primo la possibilità di formare un governo“, ha spiegato così la sua decisione il presidente Duda ieri sera (6 novembre). Tuttavia sono scarsissime le possibilità di successo per il partito al governo dal 2015: nonostante PiS sia la forza maggiore al Sejm (la Camera bassa), con i suoi 194 deputati su 460 non dispone di nessuna alleanza possibile per raggiungere la maggioranza di 231 seggi, nemmeno unendosi alla destra ultranazionalista di Confederazione Libertà e Indipendenza (18). Diritto e Giustizia inoltre ha subito una dura sconfitta al voto, registrando la percentuale di preferenze più bassa dal 2011 (35,38 per cento) e staccando di soli 4,68 punti percentuali la seconda forza in Parlamento, Coalizione Civica guidata proprio da Tusk.
Affidando il primo mandato a Morawiecki, Duda ha di fatto ignorato l’appello dei tre partiti di opposizione alleati alle elezioni che avevano chiesto il mandato per formare un esecutivo guidato dall’ex-premier tra il 2007 e il 2014, nonché presidente del Consiglio Europeo (dal 2014 al 2019) e numero uno del Partito Popolare Europeo (Ppe) fino al 2022. Insieme le tre forze dispongono di una comoda maggioranza al Sejm (248 seggi) – Coalizione Civica (157), i liberali di Terza Via (65) e i socialdemocratici di Lewica (26) – e nel corso delle consultazioni post-voto con il presidente della Repubblica era chiaramente emerso questo scenario. “Se la missione del rappresentante di Diritto e Giustizia fallisce, nella fase successiva sarà il Parlamento a scegliere un candidato a primo ministro e io lo nominerò immediatamente“, ha concesso Duda. Il premier uscente Morawiecki vorrebbe guidare un governo insieme al Partito Popolare Polacco – che fa parte della piattaforma Coalizione Polacca, a sua volta alleata con i liberali di Polonia 2050 all’interno di Terza Via – ma il centro-destra ruralista ha già confermato di non avere alcun interesse a sostenere un terzo mandato degli ultra-conservatori.
Morawiecki avrà due settimane di tempo per presentare un gabinetto a Duda dopo la convocazione del nuovo Parlamento lunedì prossimo (13 novembre), dopodiché avrà a disposizione altre due per presentare il suo programma e sottoporsi al voto di fiducia. Si arriva così all’11 dicembre, data in cui le opposizioni potranno iniziare a formare un nuovo governo e sottoporlo al massimo entro quattro settimane al test dei 260 deputati. Al momento è questo lo scenario più probabile, che comunque garantisce a Morawiecki di continuare a ricoprire la carica di premier ad interim per un altro mese abbondante. Una decisione diversa da parte di Duda avrebbe potuto accelerare la transizione della Polonia a un governo più in linea con i valori dell’Unione Europea – come confermato dallo stesso Tusk in una tornata di incontri istituzionali a Bruxelles a fine ottobre – ma il capo dello Stato ha preferito rimanere fedele alla linea tracciata dal leader di PiS, Jarosław Kaczyński, che gli ha garantito l’elezione a presidente nel 2015. Nonostante le differenze tra le tre forze di maggioranza in Parlamento – come l’aborto, i diritti Lgbtqi+ e la politica energetica – Tusk assicura che “la coalizione è messa a punto in ogni dettaglio, stiamo cercando dei metodi su come portare avanti le cose nelle aree in cui non abbiamo una visione comune”. L’obiettivo cruciale è cambiare la rotta nei rapporti con Bruxelles e sbloccare i fondi comunitari bloccati.
La Polonia tra Ue, Ungheria e Italia
La fine del potere di PiS apre nuovi scenari per una Polonia che dal 2015 ha preso una strada di opposizione alle politiche di Bruxelles, stringendo un patto di sangue con l’Ungheria di Viktor Orbán su migrazione, diritti fondamentali e Stato di diritto. Sul primo tema è netta la posizione contraria a priori su tutti i dossier del Patto migrazione e asilo – in linea con quanto fatto da Budapest – con la diffusione di continue fake news sullo scenario che si tratteggerebbe al momento dell’adozione di una politica comune (come quella sulla ridistribuzione obbligatoria delle persone migranti in arrivo sul territorio Ue). Sulla questione dei diritti fondamentali Varsavia è invece entrata da anni nel mirino di Bruxelles sia per le discriminazioni nei confronti della comunità Lgbtiq+ ma soprattutto per la politica estremista in materia di negazione del diritto all’aborto.
Quasi sconvolgente è stata invece l’evoluzione dei rapporti tra Varsavia e Bruxelles sullo Stato di diritto. Dal 2021 è in corso un contenzioso legale determinato da due sentenze della Corte Costituzionale della Polonia: la prima del 14 luglio, quando i giudici di Varsavia hanno respinto il regolamento comunitario che permette alla Corte di Giustizia dell’Ue di pronunciarsi su “sistemi, principi e procedure” delle corti polacche, la seconda del 7 ottobre, quando la Corte Costituzionale ha messo in discussione il primato del diritto comunitario, definendo gli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Unione Europea (Tue) e diverse sentenze dei tribunali dell’Ue “incompatibili” con la Costituzione polacca. Al centro della contesa c’è la decisione di sospendere provvisoriamente le competenze della sezione disciplinare della Corte Suprema della Polonia, a causa di alcuni provvedimenti arbitrari contro magistrati non graditi alla maggioranza di governo. Mentre è in corso la procedura di infrazione da parte della Commissione Europea, la Corte di Giustizia dell’Ue ha condannato il Paese membro a pagare un milione di euro di multa al giorno: il conto è già salito oltre mezzo miliardo di euro – 526 milioni per l’esattezza – dal 27 ottobre 2021 al 14 aprile 2023.
Al tavolo del Consiglio Europeo Morawiecki siederà ancora per poco – ma sicuramente anche a quello di dicembre – e questo cambio di guardia a Varsavia riguarda da vicino non solo Orbán, ma anche il governo italiano guidato da Giorgia Meloni. La premier perderà il suo più stretto alleato tra gli altri 26 leader Ue (nonostante le evidenti contraddizioni tra sovranismi) con possibili conseguenze sul Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) della leader di Fratelli d’Italia rieletta alla presidenza a fine giugno. Diritto e Giustizia è uno dei due più rilevanti partiti della famiglia conservatrice, che rappresenta allo stesso tempo l’ostacolo maggiore a un complicato accordo pre- o post-elettorale con il Partito Popolare Europeo di Manfred Weber in vista delle europee del prossimo anno. Se a prima vista un loro indebolimento potrebbe aprire qualche spiraglio per un confronto più stretto tra Meloni e Weber nel definire un’alternativa all’attuale maggioranza tra popolari, socialdemocratici e liberali al Parlamento Ue, non si può nascondere che per i conservatori europei la sconfitta del PiS in Polonia rappresenta l’ennesima frenata alle tornate elettorali nazionali del 2023. Dopo i successi del primo semestre in Svezia e Finlandia, i partiti di destra hanno subito dure battute d’arresto anche in Spagna e in Slovacchia, prima del giorno più nero a Varsavia, smorzando al momento gli entusiasmi per un’ascesa a livello europeo.