Bruxelles – Un fulmine a ciel sereno a Lisbona: António Costa, primo ministro in carica dal 2015, ha consegnato questo pomeriggio (7 novembre) le proprie dimissioni al presidente della Repubblica portoghese. Il leader socialista è indagato nell’ambito di un’inchiesta di presunta corruzione legata ad alcuni progetti per la transizione verde nel Paese.
Nelle scorse ore, la Procura generale ha ordinato una serie di perquisizioni – tra cui nella residenza ufficiale del premier – e disposto l’arresto del capo di gabinetto di Costa, Vítor Escária, e di un suo consigliere, Diogo Lacerda. In un comunicato stampa, la Procura ha dichiarato che “sono in gioco fatti che potrebbero costituire reati di malaffare, corruzione attiva e passiva di un titolare di carica politica e traffico di influenze”. La giustizia portoghese sospetta che il primo ministro possa aver fatto pressione indebita per sbloccare alcuni progetti legati al settore del litio e dell’idrogeno verde: si tratterebbe in particolare delle concessioni per due miniere di litio nel nord del Paese e per una centrale a idrogeno nella città di Sines, a 70 chilometri a sud di Lisbona.
In un breve punto stampa, il leader e segretario generale del Partito socialista ha dichiarato di avere “la coscienza tranquilla” e si è detto “pienamente disponibile a collaborare con il sistema giudiziario in tutto ciò che riterrà necessario”. Costa ha motivato le dimissioni dal suo incarico perché “la dignità delle funzioni di primo ministro non è compatibile con il sospetto di qualsiasi atto criminale”. Il premier ha anche aggiunto che in caso di elezioni anticipate non si ricandiderà alla carica di primo ministro.
Le miniere di litio nel nord del Portogallo dovevano essere i primi siti estrattivi in Europa del minerale critico, essenziale per la costruzione di batterie. Il governo di Costa, nell’ambito della corsa dell’Ue all’approvvigionamento di materie prime e all’emancipazione dalla dipendenza cinese, ha sostenuto fortemente i progetti, procedendo a testa bassa contro le proteste della popolazione locale e le critiche per l’impatto ambientale dei siti d’estrazione. Una loro eventuale battuta d’arresto rischierebbe di tagliare le gambe in partenza all’obiettivo di Bruxelles di mettere in piedi nei prossimi anni un sistema capace di estrarre almeno il 10 per cento del proprio consumo annuale di materie prime critiche.