Bruxelles – Due o più club diversi con un unico proprietario, calciatori tesserati con una squadra in prestito nell’altra, dello stesso gruppo. Pratiche fin qui consentite in un mercato, quello Unico, in cui qualcuno inizia a vedere delle distorsioni. E’ l’europarlamentare danese Niels Fuglsang (S&D) a sollevare il tema di un fenomeno non del tutto estraneo a chi segue il settore. “Negli ultimi anni – denuncia nell’interrogazione parlamentare – il numero di partnership tra club sotto forma di accordi tra club di multi-proprietà nel settore del calcio è in costante aumento“.
Il caso forse più emblematico è rappresentato da City Football Group, la holding che in Inghilterra controlla il 100 per cento del Manchester City, e che è proprietaria anche del Troyes in Francia (100 per cento del pacchetto azionario). del Palermo in Italia (80 per cento) e del Girona in Spagna (47 per cento). Ma è solo uno dei tanti esempi. Un altro è rappresentato da Red Bull, che in Europa controllano Salisburgo (Austria) e Lipsia (Germania). Ancora, l’imprenditore inglese Anthony Bloom oltre a detenere il Brighton, in premier league, è anche azionista di minoranza dell’Union Saint Gilloise, in Belgio. Il gruppo Friedkin, ancora, detiene il controllo dell’A.S. Roma e il Cannes.
Tutti esempi di una situazione che inizia a destare sospetti. L’UEFA, l’organismo internazionale che regola il gioco del calcio in Europa, riconosce il fenomeno nel suo rapporto sui nuovi modelli di business. Le ultime cifre aggiornate indicano che 82 club di massima divisione, ovvero l’11 per cento del totale, hanno una partnership di investimento incrociato con uno o più altri club in altri Paesi, anche in serie minori. “I trasferimenti all’interno di strutture multi-club consistono principalmente in prestiti o trasferimenti gratuiti”, rileva l’UEFA, che stima in “oltre 6.500” i calciatori oggetto di queste pratiche su cui anche a Bruxelles si inizia ad avere dubbi.
Per Fuglsang (S&D) tutto questo “distorce il mercato dei trasferimenti”. Queste libertà di business “stanno contribuendo a creare una concorrenza sleale nel settore del calcio europeo” e servirebbero correttivi, vale a dire “l’introduzione di normative europee per limitare la portata di queste partnership”. Un qualcosa che non è però nelle intenzione di questo esecutivo comunitario.
“Le regole di concorrenza dell’Ue non vietano le strategie di investimento multi-club di per sé“, premette il commissario per il Mercato interno, Thierry Breton. Certo, aggiunge, “gli accordi tra concorrenti che “pregiudicano il commercio tra Stati membri e hanno per oggetto o per effetto di impedire, restringere o distorcere la concorrenza nel mercato interno violano l’articolo 101 del trattato sul funzionamento dell’Ue”.
L’articolo citato da Breton stabilisce che “sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno”.
Si inizia dunque a sospettare che il business del pallone sia contrario alle regole Ue, che distorca il mercato e la concorrenza. “Prendiamo nota”, si limita a dire Breton, che per il momento lascia che siano le federazioni a gestire la cosa. “Attualmente queste materie sono oggetto di autoregolamentazione a livello nazionale, da parte delle federazioni calcistiche nazionali”. In materia, “anche se la legislazione europea è teoricamente possibile, le federazioni sono ben posizionate per regolamentare tali questioni e non esistono attualmente piani per tale legislazione”.