Bruxelles – Ora a essere davvero minacciata è la libertà di movimento delle persone, dei capitali, dei servizi e delle merci in Europa, il caposaldo dell’area che ha abolito le frontiere interne. Dopo le recenti decisioni di Italia e Slovenia di ripristinare i controlli interni, inizia a scricchiolare il funzionamento dell’area Schengen, che a oggi vede quasi la metà dei suoi Paesi membri (11 su 27) con restrizioni causate da diversi tipi di minacce, riconducibili a tre macro-aree: infiltrazioni terroristiche, migrazione e rischio attentati. A cui si aggiunge ora quella che per i governi europei è considerata un’aggravante, ovvero l’aumento della tensione causata dal conflitto tra Hamas e Israele.
La questione si era già posta a inizio ottobre con la comunicazione della Germania sull’introduzione di controlli interni con tutti i Paesi confinanti sul fianco orientale e meridionale per questioni di “pressione migratoria”, ma dopo l’attentato di Bruxelles di lunedì sera (16 ottobre) altri due membri dell’area Schengen hanno deciso di fare lo stesso, suggerendo con la propria scelta nemmeno troppo velatamente una connessione tra migrazione e rischi di attentati terroristici (come già fatto dai leader di Belgio, Svezia e Commissione Europea in occasione della commemorazione delle due vittime della sparatoria). “È una sospensione che ha tempi limitati ed è legata alla contingenza per evitare che ci siano terroristi che girano indisturbati per l’Europa“, ha affermato il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, anche se il fatto di aver chiuso solo il confine con la Slovenia – “proprio perché non arrivino terroristi nel nostro Paese o nel resto d’Europa” – mostra chiaramente che per Roma il pericolo maggiore sarebbe quello della rotta migratoria che attraversa i Balcani Occidentali. “Nelle valutazioni nazionali le misure di polizia alla frontiera italo-slovena non risultano adeguate a garantire la sicurezza richiesta”, ha riportato la nota di Palazzo Chigi sul ripristino dei controlli dei confini al momento solo dal 21 al 30 ottobre (ma che sarà verosimilmente esteso).
A nemmeno 24 ore di distanza la stessa decisione è stata presa da Lubiana – con le stesse tempistiche – sulla frontiera con la Croazia e l’Ungheria. Così come ieri (18 ottobre) il ministro degli Interni sloveno, Boštjan Poklukar, aveva esortato Roma ad adottare misure “proporzionate e amichevoli per non rompere i legami culturali e familiari delle persone che vivono lungo il confine”, oggi il primo ministro croato, Andrej Plenković, ha voluto sottolineare che “si tratta di una misura temporanea, deve rimanere un’eccezione sottoposta a condizioni rigorose soprattutto per l’attuazione e la durata”. In ogni caso anche il leader dell’ultimo Paese che ha aderito all’area Schengen ha voluto precisare che la decisione di Italia e Slovenia deriva da un “deterioramento della situazione in Medio Oriente”, mentre fonti diplomatiche a Bruxelles ribadiscono che per diversi governi la rotta balcanica “può rappresentare un corridoio di potenziale radicalizzazione”. Il ripristino dei controlli alle frontiere interne è una prerogativa degli Stati membri e – in base a quanto stabilito dal Codice frontiere Schengen – la Commissione Europea può emettere un parere, ma non porre il veto. In ogni caso la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha messo in chiaro che “anche se giustificati, tutti i controlli ostacolano la libertà di movimento e il commercio, vogliamo meno blocchi e per questo è importante un accordo sul nuovo Codice frontiere Schengen“.
Tutti i controlli interni ripristinati dentro Schengen
Il ripristino dei controlli interni è previsto in tre casi secondo il Codice frontiere Schengen, sempre con una notifica preventiva alla Commissione Europea e agli altri Stati membri. Per i “casi prevedibili” (articoli 25 e 26) la durata del controllo è limitata a 30 giorni – “o alla durata prevedibile della minaccia” – e prolungato per periodi di 30 giorni fino a un massimo di 6 mesi. Per i “casi che richiedono un’azione immediata“, come quello invocato da Italia e Slovenia, si applica l’articolo 28 che prevede un controllo di frontiera “per 10 giorni senza previa notifica” – ma informando in ogni caso Bruxelles e le altre capitali interessate – con un ripristino prolungabile fino a 20 giorni e per un periodo massimo di 2 mesi. Infine ci sono i “casi in cui circostanze eccezionali mettono a rischio il funzionamento generale dello spazio Schengen“, regolamentati dall’articolo 29: se le circostanze costituiscono una “grave minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna” è lo stesso Consiglio su proposta della Commissione a raccomandare che uno o più Stati membri ripristinino i controlli interni “su tutte o su parti specifiche delle loro frontiere”.
Delle 388 notifiche (presto arriverà anche quella da Lubiana) registrate dalla Commissione Europea dal 2006, al momento sono 18 quelle che prevedono controlli interni in atto o prossimi (e al massimo fino all’11 maggio 2024 per la Svezia) e che riguardano complessivamente 11 Paesi membri dell’area Schengen: Italia, Austria, Danimarca, Francia, Germania, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Svezia e Norvegia (l’unico non membro Ue). A chiudere le frontiere interne con tutti i propri vicini è stata Parigi per i rischi di attentati terroristici in occasione della Coppa del Mondo di Rugby tra settembre e ottobre, ma anche per ingressi irregolari di persone migranti dal Mediterraneo Centrale e dalla rotta balcanica. Anche Vienna ha introdotto controlli interni da tutti i Paesi interessati dal movimento di persone che attraversa i Balcani, ma anche per “ampia migrazione secondaria e pressione sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo”. Lo stesso si può dire per Lubiana, Bratislava, Praga e Varsavia, mentre Berlino riporta tra le motivazioni anche la guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e la situazione di sicurezza “esacerbata dai gruppi terroristici in Medio Oriente“. Allo stesso modo Copenaghen e Stoccolma giustificano la scelta con la “minaccia terroristica islamica” (tra le altre cause), diversamente da Oslo che avverte della “minaccia alle infrastrutture critiche on-shore e off-shore” da parte di Mosca. Al momento Roma è l’unica a citare “l’aumento della minaccia di violenza all’interno dell’Ue a seguito dell’attacco a Israele” e “il rischio di possibili infiltrazioni terroristiche”.