Bruxelles – È l’alba di una nuova era per la Polonia, che dallo schieramento ultraconservatore potrebbe tornare presto ad abbracciare posizioni filo-Ue. Il condizionale è d’obbligo – anche se lo spoglio delle schede elettorali mostra una tendenza piuttosto chiara – considerato il fatto che sul Paese incombono settimane di stalli politici e decisioni non scontate da parte del presidente della Repubblica, Andrzej Duda. Ma quello che emerge dalle urne è un segnale di svolta per Varsavia, con le opposizioni europeiste che hanno per la prima volta in otto anni la concreta possibilità di andare al governo e relegare all’opposizione i conservatori del premier uscente, Mateusz Morawiecki.
Quella andata in scena ieri (15 ottobre) in Polonia è la vittoria di Donald Tusk, l’ex-premier polacco tra il 2007 e il 2014 – nonché presidente del Consiglio Europeo (dal 2014 al 2019) e numero uno del Partito Popolare Europeo (Ppe) fino al 2022 – tornato sulla scena politica nazionale nel 2021 per mettere fine al potere del partito Diritto e Giustizia (PiS) di Jarosław Kaczyński e risollevare le sorti di Piattaforma Civica (diventato Coalizione Civica in occasione delle elezioni del 2023). Con il 100 per cento delle schede spogliate, la principale formazione di opposizione al PiS ha conquistato il 30,7 per cento dei voti, a cui si devono sommare i voti delle altre due forze coalizzate: al 14,4 per cento Terza Via – formata dai liberali di Polonia 2050 e i popolari di Coalizione Polacca – e all’8,61 la sinistra socialdemocratica di Lewica. Questi risultati confermerebbero la reazione entusiasta di Tusk all’annuncio degli exit poll ieri sera: “Si può dire che le elezioni in Polonia hanno segnato la fine del governo di Diritto e Giustizia”, è stato il commento a caldo, sottolineando che con tutta l’opposizione “abbiamo fatto una grande cosa, ha vinto la Polonia e ha vinto la democrazia“. L’affluenza record al 72,9 per cento mostra con ancora più evidenza quanto questo voto nel Paese membro Ue fosse considerato decisivo da parte degli elettori.
Il quadro non sarebbe completo se non si considerasse la prestazione dei conservatori del PiS, in pesante calo rispetto alle elezioni di quattro anni fa. Nonostante rimarrà la prima forza in Parlamento, il 35,38 per cento delle preferenze al Sejm (la Camera bassa) è una sconfitta nei fatti, sia perché è il dato più basso dal 2011 sia perché Morawiecki non riuscirà a formare il suo terzo governo consecutivo, neanche con un’alleanza con la destra ultranazionalista di Confederazione Libertà e Indipendenza (al 7,16). Rispetto alle elezioni del 2015 – combattute come quelle di ieri, a differenza delle ultime del 2019 – il partito di Kaczyński non potrà contare nemmeno sulla riassegnazione al partito vincitore dei seggi delle coalizioni che non superano la soglia di sbarramento: per questa tornata elettorale Lewica (formata da Nuova sinistra e Sinistra Insieme) si è registrata come partito, superando agevolmente la soglia del 5 per cento (anche se i risultati indicano che ce l’avrebbe fatta anche con quella all’8 per le coalizioni). A questo risultato deludente per i conservatori si aggiunge anche il fallimento dei referendum paralleli – in particolare quello su politica di migrazione e asilo, ma anche privatizzazione dei beni statali, età pensionabile e barriera di confine con la Bielorussia – che non hanno raggiunto il quorum (40 per cento) e perciò diventati non vincolanti.
Lo scenario politico a Varsavia
“Ottime notizie dalla Polonia, il popolo polacco è sceso in campo in modo massiccio per aprire una nuova era per il Paese”, è il commento entusiasta del presidente del Gruppo del Ppe al Parlamento Europeo, Manfred Weber, congratulandosi con Tusk e con “i partner dell’opposizione che hanno inviato un messaggio di speranza, nessuno può ostacolare la Polonia e il suo futuro europeo“. Sulla stessa linea la leader del Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), Iratxe García Pérez: “I polacchi sono andati massicciamente a votare per un cambiamento, per una Polonia democratica, aperta ed europea”, ha scritto l’eurodeputata spagnola su X con un’esortazione a Varsavia “di nuovo nel cuore dell’Europa“. A completare il quadro delle congratulazioni da Bruxelles ai tre partiti di opposizione anche il leader del Gruppo di Renew Europe, Stéphane Séjourné: “In Polonia cresce una speranza senza precedenti”, anche grazie al “duro lavoro di Polonia 2050 per costruire una vera alternativa al centro della politica polacca”.
Il vero nodo ora riguarderà l’assegnazione del mandato da parte del presidente della Repubblica per la formazione del prossimo governo. È verosimile pensare che Duda – anche lui esponente del PiS – incaricherà comunque il primo partito emerso dalle urne, nonostante sia già chiaro che non ci sono alleanze possibili per raggiungere la maggioranza di 231 voti al Sejm. Questa decisione potrebbe avere delle conseguenze sulle tempistiche di insediamento di un futuro governo Tusk. Entro 30 giorni dovrà essere convocato il nuovo Parlamento ed entro altre due settimane dovrà arrivare il primo incarico da parte del presidente, con 14 giorni per ottenere la fiducia. Si arriva così approssimativamente al 12 dicembre, data in cui le opposizioni potranno iniziare a formare un nuovo governo e sottoporlo al massimo entro quattro settimane al test dei 260 deputati. All’inizio del 2024 si avrà così la certezza della nuova maggioranza in Polonia, anche se le operazioni potrebbero essere accelerate se Coalizione Civica – la seconda forza in Parlamento – ricevesse immediatamente l’incarico. Un altro fattore da considerare è il fatto che un eventuale governo formato da Coalizione Civica, Terza Via e Lewica non avrebbe la maggioranza di tre quinti necessaria per annullare i veti che il presidente conservatore potrà opporre ai disegni di legge adottati dall’esecutivo di Varsavia.
La Polonia tra Ue, Ungheria e Italia
La fine del potere di PiS apre nuovi scenari per una Polonia che dal 2015 ha preso una strada di opposizione alle politiche di Bruxelles, stringendo un patto di sangue con l’Ungheria di Viktor Orbán su migrazione, diritti fondamentali e Stato di diritto. Sul primo tema è netta la posizione contraria a priori su tutti i dossier del Patto migrazione e asilo – in linea con quanto fatto da Budapest – con la diffusione di continue fake news sullo scenario che si tratteggerebbe al momento dell’adozione di una politica comune (come quella sulla ridistribuzione obbligatoria delle persone migranti in arrivo sul territorio Ue). Sulla questione dei diritti fondamentali Varsavia è invece entrata da anni nel mirino di Bruxelles sia per le discriminazioni nei confronti della comunità Lgbtiq+ ma soprattutto per la politica estremista in materia di negazione del diritto all’aborto.
Quasi sconvolgente è stata invece l’evoluzione dei rapporti tra Varsavia e Bruxelles sullo Stato di diritto. Dal 2021 è in corso un contenzioso legale determinato da due sentenze della Corte Costituzionale della Polonia: la prima del 14 luglio, quando i giudici di Varsavia hanno respinto il regolamento comunitario che permette alla Corte di Giustizia dell’Ue di pronunciarsi su “sistemi, principi e procedure” delle corti polacche, la seconda del 7 ottobre, quando la Corte Costituzionale ha messo in discussione il primato del diritto comunitario, definendo gli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Unione Europea (Tue) e diverse sentenze dei tribunali dell’Ue “incompatibili” con la Costituzione polacca. Al centro della contesa c’è la decisione di sospendere provvisoriamente le competenze della sezione disciplinare della Corte Suprema della Polonia, a causa di alcuni provvedimenti arbitrari contro magistrati non graditi alla maggioranza di governo. Mentre è in corso la procedura di infrazione da parte della Commissione Europea, la Corte di Giustizia dell’Ue ha condannato il Paese membro a pagare un milione di euro di multa al giorno: il conto è già salito oltre mezzo miliardo di euro – 526 milioni per l’esattezza – dal 27 ottobre 2021 al 14 aprile 2023.
Al tavolo del Consiglio Europeo Morawiecki siederà ancora per poco – sicuramente a quello di ottobre, in bilico per quello di dicembre – e questo cambio di guardia a Varsavia riguarda da vicino non solo Orbán, ma anche il governo italiano guidato da Giorgia Meloni. La premier perderà il suo più stretto alleato tra gli altri 26 leader Ue (nonostante le evidenti contraddizioni tra sovranismi) con possibili conseguenze sul Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) della leader di Fratelli d’Italia rieletta alla presidenza a fine giugno. Diritto e Giustizia è uno dei due più rilevanti partiti della famiglia conservatrice, che rappresenta allo stesso tempo l’ostacolo maggiore a un complicato accordo pre- o post-elettorale con il Partito Popolare Europeo di Manfred Weber in vista delle europee del prossimo anno. Se a prima vista un loro indebolimento potrebbe aprire qualche spiraglio per un confronto più stretto tra Meloni e Weber nel definire un’alternativa all’attuale maggioranza tra popolari, socialdemocratici e liberali al Parlamento Ue, non si può nascondere che per i conservatori europei la sconfitta del PiS in Polonia rappresenta l’ennesima frenata alle tornate elettorali nazionali del 2023. Dopo i successi del primo semestre in Svezia e Finlandia, i partiti di destra hanno subito dure battute d’arresto anche in Spagna e in Slovacchia, prima del giorno più nero a Varsavia, smorzando al momento gli entusiasmi per un’ascesa a livello europeo.