Bruxelles – Gli standard minimi valgono ovunque, non solo internamente. E questo assume una rilevanza ancora maggiore quando si tratta di standard ambientali e sociali nelle catene di approvvigionamento di materie prime critiche dentro e fuori l’Unione Europea, uno dei temi più urgenti per la transizione verde e digitale dell’Ue. A evidenziarlo con forza è Cinzia Del Rio, coordinatrice del dipartimento internazionale della Uil e relatrice del parere del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese), che in un’intervista a Eunews spiega la necessità di “un approccio coerente delle istituzioni e dei governi” nel trattare il percorso verso l’indipendenza e la sovranità tecnologica dell’Unione per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani e del lavoro in questo ambito.
Come giudica la strategia Ue per le catene di approvvigionamento di materie prime?
“C’è ancora molto su cui lavorare, perché da un lato si evidenzia la necessità di approvvigionamento di materie prime fondamentali per l’industria, ma dall’altro non si entra nel merito degli standard sociali e ambientali in Paesi terzi, in particolare quelli che si trovano in condizioni di povertà, di controllo militare, o non democratici. Se ci dotiamo di un quadro stringente a livello Ue, non è comprensibile che imprese e governi poi sostengano un approvvigionamento in Paesi terzi che non lo consideri allo stesso modo. Tutto deve essere legato dalla coerenza delle politiche europee”.
“Sul piano sociale dalle Convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) sul divieto del lavoro forzato e di quello minorile, sulla libertà di associazione, sul diritto alla contrattazione, sulla non discriminazione e sulla salute e sicurezza sul luogo di lavoro. A giugno a Ginevra i governi hanno adottato linee-guida sulle catene di approvvigionamento – in particolare di materie prime – che forniscono una strategia di indirizzo politico. Sul fronte ambientale, pur in assenza di Convenzioni internazionali, per il Cese fa fede l’accordo di Parigi”.
Quali sono i punti che rendono incisivo il parere del Cese a riguardo?
“Ci siamo concentrati soprattutto sugli strumenti per il monitoraggio, serve impegno da parte dell’Ue nei rapporti bilaterali con i Paesi terzi per coinvolgere le comunità locali nel muoversi in questa direzione. Negli accordi commerciali bisogna tenere sempre in considerazione il rispetto dei diritti fondamentali e gli standard ambientali, anche attraverso condizionalità degli incentivi alle imprese che possono innescare un circuito virtuoso. È necessario favorire politiche e misure che in quei Paesi stimolino le priorità che ci siamo dati a livello europeo, non solo per contrastare le violazioni ma anche per esportare un modello europeo basato su progetti di sviluppo locale”.
A quali rischi di potrebbe andare in contro, in caso contrario?
“Il rischio è che ogni Paese vada per conto proprio e si creino fratture all’interno dell’Unione Europea, con un approvvigionamento di materie prime frammentato. Significherebbe il fallimento progetto europeo di muoversi tutti insieme, causato dalla fretta nell’accaparrarsi le risorse. È un’emergenza per tutti i Paesi europei, ma i più industrializzati – come Francia e Germania – hanno più possibilità di muoversi anche in modo indipendente. La diversificazione è importante, ma bisogna vedere come riusciremo a perseguire progetti di approvvigionamento di materie prime con modelli di sviluppo sostenibile. Serve una strategia coordinata a livello Ue”.
E sul piano ambientale?
“Qui invece il rischio è che mentre noi ci diamo obiettivi stringenti a livello Ue nel quadro dell’accordo di Parigi, contemporaneamente non teniamo conto dell’impatto dell’estrazione e dello sfruttamento di materie prime in Paesi terzi da cui ci andiamo ad approvvigionare, che non rispettano standard minimi. Quando ci dotiamo di criteri condivisi a livello Ue, non posiamo ignorare che lo stesso sviluppo deve essere garantito a questi partner, o quantomeno aprire strada per farlo. In caso contrario ci faremmo del male e cresceremmo in modo disequilibrato”.
In questo discorso non si può non considerare la Cina.
“Non si può fare a meno della Cina nel breve/medio termine, sarebbe miope pensarlo. Possiamo dimostrare che guardiamo anche ad altri Paesi, questa è la forza Ue se si muove insieme diversificando le fonti di approvvigionamento, ma non possiamo ignorare che Pechino controlla la maggior parte dell’estrazione e della lavorazione delle materie prime critiche. Serve una strategia politica con la Cina, che ha tutto l’interesse a mantenere livelli di crescita elevati e situazioni di non conflitto, e sfruttare le possibilità di investire nel green in un rapporto economico più equilibrato”.
È vero però che la Cina pone enormi sfide in Africa. L’Ue si è mossa tardi su questo fronte?
“In Africa ci siamo mossi con forte ritardo, da anni la Cina si è presentata con grossi investimenti in infrastrutture, che poi hanno spinto il controllo dell’approvvigionamento di materie prime. Come Ue siamo in rincorsa e in molte situazioni non parliamo con regimi democratici o politicamente stabili, e questa instabilità si presta a essere controllata da chi può presentarsi con disponibilità economiche. C’è anche da dire che l’Unione non ha nemmeno un piano adeguato per l’Africa livello economico”.
Nel frattempo Bruxelles sta puntando molto sull’America Latina.
“In America Latina il discorso è diverso, con Paesi più stabili, la presenza di un dialogo sociale più strutturato. C’è una base su cui si possono costruire rapporti diversi. Per esempio gli accordi bilaterali commerciali di nuova generazione presentano l’elemento importante della dimensione sociale e ambientale, anche se il vero problema è sempre l’implementazione del capitolo del rispetto degli standard. L’accordo Mercosur è bloccato proprio perché questi Paesi chiedono qualcosa in cambio in termini di progetti per la crescita”.
Oltre agli accordi bilaterali, l’Ue sta cercando di implementare un’Alleanza per le materie prime critiche con partner affini. Può essere questa una chiave di volta?
“Nel nostro parere diamo un giudizio positivo all’Alleanza, perché è un tentativo di agire insieme con un approccio positivo. Bisogna poi vedere a livello di implementazione cosa si potrà fare. Dimostra però che si sta facendo qualche passo verso una strategia europea. Ma i partner più affini andranno selezionati non solo sulla base dei costi delle materie prime, ma soprattutto su quanto sono affidabili per i criteri di democrazia e rispetto degli standard ambientali e sociali”.
È preoccupata per i possibili sconvolgimenti che possono scaturire dai recenti scenari di guerra, dall’Ucraina al Medio Oriente?
“C’è molta incertezza su quello che potrà accadere, in particolare sul fronte mediorientale. Dobbiamo capire se l’Ue riuscirà ad andare avanti in modo unito. Gli scenari geopolitici stanno cambiando molto e siamo preoccupati per esempio sull’avvicinamento dei Brics a nuovi membri come l’Iran. Le relazioni internazionali possono sconvolgere i tentativi di unire Paesi in alleanze, perché bisogna pensare a dove confluiranno le risorse”.