Bruxelles – Le nubi di incertezza politica in Slovacchia si stanno dissolvendo e la direzione presa dal Paese dopo le elezioni del 30 settembre è tutt’altro che una notizia incoraggiante per Bruxelles. L’ex-premier e leader della socialdemocrazia europeista Hlas-Sd, Peter Pellegrini – ago della bilancia per la formazione del prossimo governo – ha comunicato di aver deciso di appoggiare un esecutivo formato da due forze filo-russe, i socialdemocratici di Smer e la destra estrema del Partito Nazionale Slovacco, spianando la strada all’ex-primo ministro Robert Fico per assumere la guida della coalizione.
Nel corso della conferenza stampa convocata ieri (10 ottobre) Pellegrini ha reso noto il voto preso all’unanimità dalla presidenza del partito Hlas-Sd, spiegando il motivo per cui è stato deciso di indirizzarsi verso un governo di forze quantomeno euroscettiche e non dare invece vita a una coalizione progressista: si sarebbero innestati “problemi ideologici” tra il Partito Progressista del vicepresidente del Parlamento Ue, Michal Šimečka, e il Movimento Cristiano Democratico. Ma da Šimečka è arrivata l’accusa all’ex-premier di aver deciso un sostegno a Fico fin dal giorno dopo le elezioni perché “interessi più forti” li legano. Pellegrini, leader del partito fondato nel 2020 dopo la scissione da Smer, ha però assicurato che “con la nostra presenza garantiremo che l’appartenenza della Slovacchia all’Ue e alla Nato non sia messa a repentaglio“, dopo le dichiarazioni allarmanti del vincitore dell’ultima tornata elettorale.
In altre parole Hlas-Sd vuole porsi come garanzia di una politica estera di continuità, attraverso un costante ricatto a Smer (42 deputati) e nazionalisti di destra (10) di abbandonare la coalizione in caso contrario. In un Parlamento di 150 seggi, i 27 deputati di Pellegrini sono determinati per qualsiasi maggioranza, soprattutto per quella che andrà a configurarsi (che dovrebbe contare su 79 voti a favore). Eppure ci sono diverse questioni che non possono non inquietare Bruxelles. In primis il nuovo elemento radicalizzante all’interno della coalizione: il Partito Nazionale Slovacco riceverà incarichi di governo, dopo anni di propaganda estremista del leader del partito, Tomáš Taraba, ricordato per la diffusione di simboli nazisti (per cui è stato condannato) e per i tentativi di ridurre le sanzioni per l’uso improprio dei fondi Ue. Questo in un Paese in cui il probabile futuro premier Fico si è dimesso nel 2018 a seguito dell’omicidio del giornalista Ján Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírová, che avevano denunciato legami tra la ‘ndrangheta e l’élite slovacca, tra cui esponenti di Smer.
Le preoccupazioni di Bruxelles sulla Slovacchia
Gli sviluppi post-elezioni in Slovacchia rischiano di avere anche pesanti conseguenze per l’Unione Europea sul piano del supporto all’Ucraina. In palese rottura con la politica portata avanti dal premier dimissionario, Eduard Heger, dall’inizio dell’invasione russa (l’8 aprile 2022 aveva accompagnato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nel suo primo viaggio in Ucraina), Fico ha puntato tutta la sua strategia in campagna elettorale su una retorica anti-ucraina e anti-sanzioni contro la Russia, accusando Bruxelles e gli alleati occidentali di aver “solo prolungato il conflitto” con il sostegno armato e di aver “danneggiato più l’Ue che la Russia” con la politica di misure restrittive contro Mosca. Fico ha anche utilizzato chiaramente una narrativa filo-putiniana, come dimostrato dalle dichiarazioni contro i “nazisti e fascisti ucraini” che hanno “provocato” l’autocrate russo a lanciare l’invasione un anno e mezzo fa. È probabile che ora, con Smer di nuovo alla guida della coalizione di governo, Bratislava diventerà un nuovo ostacolo all’unità europea pro-Kiev. Per quanto riguarda invece i socialdemocratici di Hlas-Sd, Pellegrini è sempre stato vago e ha affermato che il Paese “non ha più nulla da donare” a Kiev, ma allo stesso tempo non ha fatto passi indietro sul sostegno armato.
È soprattutto il premier ungherese, Viktor Orbán, a esultare per il ritorno sulla scena politica di uno stretto alleato nella sua politica di opposizione a Bruxelles sull’Ucraina e non solo. A questo si aggiunge un altro appuntamento elettorale cruciale, che vede Orbán sperare in una riconferma del partito Diritto e Giustizia di Mateusz Morawiecki alle elezioni in Polonia di domenica (15 ottobre). In questo scenario Slovacchia, Ungheria e Polonia potrebbero imporre una linea durissima al Gruppo di Visegrád – alleanza che comprende anche la Repubblica Ceca – nel disturbare l’azione dell’Unione Europea in numerosi campi, tra cui lo Stato di diritto, la politica di transizione verde e le riforme interne all’Ue (tra cui un possibile abbandono graduale dell’unanimità in Consiglio).
Per tutte queste ragioni i socialdemocratici europei stanno valutando quali contromisure prendere. Il partito Smer è associato al Partito del Socialismo Europeo (Pse) – a differenza di quello di Pellegrini che non è mai entrato – e lo stretto legame tra Fico e Orbán, oltre alla posizione sull’Ucraina, pone degli enormi interrogativi sull’appartenenza alla stessa famiglia del Partito Democratico italiano, del Partito Socialdemocratico tedesco o del Partito Socialista Operaio spagnolo. Il partito di Fico è stato già sospeso dal Pse per dieci mesi nel 2006, dopo la formazione della prima coalizione di governo con il Partito Nazionale Slovacco – scenario che si ripresenterà a breve – e ha rischiato la sospensione nel 2015 per la dura retorica anti-migrazione, ma non sono mai state prese misure drastiche come l’espulsione. Ma le elezioni del 30 settembre e la formazione di un nuovo governo con l’estrema destra rappresentano un punto di non ritorno.