Ursula von der Leyen, la candidata “fuori sacco”, quella che nessuno si aspettava e che invece Angela Merkel scelse per presiedere l’attuale Commissione europea, è stata una buona presidente? Secondo molti osservatori senza dubbio. Ha dovuto affrontare due situazioni del tutto inattese, per le quali l’Unione non era in alcun modo preparata, la pandemia e la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, ed ha saputo lanciare un programma chiaro di grande respiro, anche se per alcuni discutibile, sul Green Deal.
E’ moltissimo, questa Commissione europea ha certamente fatto la storia (anche approfittando di una progressiva mancanza di leaders forti nei Paesi): ha aperto un settore che neanche nelle ipotesi era visto come una competenza dell’Unione, il coordinamento sulla salute pubblica, contribuendo forse in maniera decisiva alla sconfitta del Covid (senza lasciare alcun Paese indietro), ha saputo gestire una partecipazione unitaria (di fatto) degli Stati membri al sostegno dello sforzo di difesa ucraino. Ha saputo anche, in buona parte costretta dai fatti, superare la dipendenza dei Ventisette dall’energia che arrivava da Mosca, riuscendo a dare anche un impulso di rilievo alle energie rinnovabili e il risparmio energetico, che erano parte del Green Deal, e sulle quali forse non si sarebbe mai accelerato tanto.
E’ stata la Commissione o è stata von der Leyen? Perché questo è il punto dolente per la politica tedesca. Certamente gran parte del lavoro, di questi lavori cui ho accennato, è stato fatto con il decisivo aiuto dei commissari competenti, però l’accusa che sempre più sale, e sale in particolare da dentro alla Commissione europea, è che “fa tutto da sola”. Il risentimento in alcuni è forte, alti dirigenti e anche commissari, che si trovano sul tavolo decisioni già prese sena alcun lavoro “di collegio” (così ama chiamarsi la commissione riunita).
L’ultima questione è nata sul Memorandum con la Tunisia, al di là dei suoi contenuti, che molti governi comunque condividono. Proprio ieri Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo con il quale von der Leyen ha sempre avuto un rapporto problematico, pubblicamente ha attaccato la vicina di palazzo (i loro uffici sono uno di fronte all’altro ai due lati di una strada, Rue de la Loi) per aver concluso il Memorandum senza un previo e formale coinvolgimento dei Consiglio. Immaginiamo di Michel stesso, ma soprattutto dei governi.
Questo suo “decisionismo”, secondo alcuni osservatori, potrebbe anche essere alla base dei numerosi abbandoni da parte dei commissari, insoddisfatti a causa di una sensazione di essere spesso scavalcati, addirittura non informati. E di avere scarsa visibilità.
“Alle volte – raccontano fonti nella Commissione – Commissari o direttori scoprono da un tweet che la Commissione ha preso una certa decisione, sulla quale non erano stati coinvolti”. Sotto accusa è la scelta della presidente di affidarsi ad un ristretto gruppo di consiglieri, con i quali prenderebbe gran parte delle decisioni. Questa cosa non sarà un ostacolo ad una sua ricandidatura da parte dei capi di Stato e di Governo, con i quali ha un dialogo intenso, ma forse, se avrà un secondo mandato, forte dell’esperienza del primo e consolidata nella sua posizione, potrà fidarsi di più dei colleghi commissari e dei funzionari europei.