Bruxelles – La vera partita per Pedro Sánchez inizia ora, dopo aver ricevuto ufficialmente l’incarico di tentare di mettere in piedi una coalizione di governo. Perché se la strada che lo indicava come l’unico in grado di superare lo stallo politico in atto dal giorno delle elezioni del 23 luglio era già chiara da settimane – ben prima del doppio fallimento del presidente del Partido Popular (Pp), Alberto Núñez Feijóo – è nei prossimi 55 giorni che il leader socialista si giocherà il tutto per tutto per evitare di riportare la Spagna alle urne il prossimo anno.
Come da previsioni, la presidente del Congresso dei deputati, Francina Armengol, ha annunciato oggi (3 ottobre) che Re Felipe VI di Spagna ha proposto al segretario generale del Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) di assumere il ruolo di candidato all’investitura e presentarsi al Parlamento nazionale per testare una possibile maggioranza che sostenga il suo governo. Il nuovo giro di consultazioni tra ieri e oggi con i leader dei partiti politici si è reso necessario dopo la bocciatura del leader della coalizione di destra Feijóo, respinto dal Congresso la prima volta mercoledì scorso (27 settembre) e di nuovo due giorni più tardi: non sono sufficienti i 172 deputati (137 del Pp con i 33 dell’estrema destra di Vox e i due di Coalizione Canaria e Unione del Popolo Navarro) per raggiungere la soglia minima di 176. È così che è partito ufficialmente il conto alla rovescia per potenziali nuove elezioni anticipate in Spagna, che solo Sánchez potrà fermare. In caso di fallimento anche del leader della coalizione progressista, il Parlamento sarà sciolto e si terrà la nuova tornata elettorale (non prima di 47 giorni), con la data più probabile per il ritorno al voto il 14 gennaio 2024.
“Accetto questo incarico con grande onore e con grande senso di responsabilità, gli spagnoli con il loro voto hanno chiesto di formare un governo e c’erano due ipotesi”, ha ricordato Sánchez dopo la nomina: “Una del Pp con Santiago Abascal [il leader della formazione di estrema destra, ndr] e una progressista”. Lo stesso primo ministro attualmente a capo di un governo di transizione (e presidente di turno del Consiglio dell’Ue) ha reso noto che “domani stesso comincio i contatti con Sumar per creare la maggioranza” e dopo il vertice di Granada “mi riunirò con le diverse forze parlamentari, a eccezione dell’ultra-destra di Vox, come è logico“. L’obiettivo è quello di creare “un governo di legislatura, presenterò un progetto di stabilità e di progresso per i giovani, i lavoratori, gli anziani e le donne di questo Paese”, poggiato su “lavoro stabile e salari degni, insieme alla tutela del pianeta”. Dopo il durissimo scontro di questi mesi tra le forze di destra e di sinistra, sembra ormai fuori dal tavolo una già improbabile intesa tra socialisti e popolari: “Non mi appello all’appoggio del Pp, a differenza loro da parte mia non ci sarà alcuna richiesta di voti di transfughi”.
L’unica opzione su tavolo di Sánchez
È un’altra precisazione di Sánchez ad attirare in questo senso l’attenzione: “Siamo un Paese molto più unito del passato, il mio obiettivo è mantenere la convivenza e la concordia tra i popoli di Spagna“. È un richiamo evidente alla questione catalana e al dialogo che, per forza di cose, si dovrà impostare con i 7 deputati di Junts per Catalunya per non fallire il tentativo di dare la luce a un nuovo governo. È proprio questa la formazione politica che, in una Spagna spaccata in due dopo le elezioni di fine luglio, si sta rivelando fondamentale. Al momento il premier uscente può contare su 170 deputati: Psoe e Sumar ne portano 152 (rispettivamente 121 e 31), più 5 del Partito Nazionalista Basco (Eaj-Pnv), 7 della Sinistra Repubblicana di Catalogna (Erc) e 6 della coalizione di nazionalisti baschi progressisti Euskal Herria Bildu (Ehb). Ne mancano almeno 6 per raggiungere la soglia minima per la maggioranza al Congresso. “Il nostro campo di azione e il nostro perimetro, come sempre, sarà la Costituzione, per sviluppare la politica di convivenza tra tutti i territori spagnoli”, ha messo però in chiaro Sánchez, puntualizzando che “ci saranno trattative trasparenti” e senza mai pronunciare la parola “amnistia”.
Già alla prima sessione del nuovo Parlamento ad agosto si era concretizzato l’avvicinamento tra i socialisti e i catalani – che aveva permesso l’elezione di Armengol – anche se Junts aveva precisato che l’intesa non riguardava una possibile investitura di Sánchez a premier. Eppure nel corso delle settimane successive si è assistito a un progressivo avvicinamento spinto dagli alleati più stretti del Psoe, la coalizione di partiti di sinistra Sumar. A una settimana dal voto in Parlamento il portavoce di Sumar ed eurodeputato del gruppo dei Verdi/Ale, Ernest Urtasun, aveva offerto i primi segnali di apertura alla costituzionalità di un’amnistia generale per tutte le persone coinvolte nell’organizzazione e lo svolgimento del referendum del 2017 sull’autodeterminazione della Catalogna.
Il confronto tra la sinistra e i catalani è continuato poi a Bruxelles, quando la vicepremier e ministra del Lavoro uscente, Yolanda Díaz (leader della coalizione Sumar), lo scorso 4 settembre ha incontrato Puigdemont al Parlamento Europeo per provare una mediazione che potesse sbloccare la nascita del governo Sánchez 3. Per il via libera è necessario il voto favorevole degli indipendentisti di Junts al primo tentativo, o una non-opposizione al secondo (per la soglia della maggioranza semplice). L’eurodeputato catalano è ben cosciente del potere nelle sue mani: “Non stiamo parlando di un ripiego per far avanzare la legislatura e chiudere la porta alla destra, ma del fatto che se ci sarà un accordo, sarà un compromesso storico come nessun regime o governo spagnolo è mai riuscito a realizzare”, ha messo in chiaro Puigdemont un giorno più tardi, elencando le condizioni per l’appoggio dall’esterno. Riconoscimento della legittimità dell’indipendenza catalana, abbandono dell’iter giudiziario, creazione di un meccanismo di mediazione e di verifica, promozione della lingua catalana nell’Unione Europea e amnistia per tutte le persone coinvolte nel referendum del 2017.