Bruxelles – Dal primo ottobre entrerà in vigore su tutto il territorio dell’Ue la Convenzione di Istanbul, il trattato internazionale sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. Un momento storico e atteso da oltre sei anni: tanto ci è voluto per portare a compimento il processo di ratifica, a causa delle reticenze di 6 Paesi membri che ancora non hanno convalidato la propria firma. Ma da domenica la Convenzione sarà vincolante anche per loro.
Sono Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia, i Paesi che dal 2017 hanno tenuto in stallo l’adesione dell’Ue al trattato. Almeno fino al 6 ottobre 2021, quando la Corte europea di Giustizia stabilì che Bruxelles avrebbe potuto procedere alla ratifica anche senza l’accordo di tutti gli Stati membri. E così il primo giugno 2023 il Consiglio dell’Ue ha finalizzato l’adesione del blocco. Che, secondo l’articolo 216 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) obbligherà ad adeguarsi alla Convenzione anche i 6 Paesi ostruzionisti. Gli accordi internazionali conclusi dall’Unione “vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri“, recita l’articolo.
Cosa prevede la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne
Incentrata su tre pilastri – la prevenzione della violenza domestica, la protezione delle vittime e il perseguimento dei colpevoli -, la Convenzione di Istanbul indica quali atti devono essere perseguiti penalmente dai Paesi partecipanti: la violenza psicologica, lo stalking, la violenza fisica, le molestie sessuali, la violenza sessuale e tutti gli atti di natura sessuale non consensuali con una persona, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l’aborto e la sterilizzazione forzata e i delitti d’onore. L’incarico di monitorare l’attuazione della convenzione è conferito a un gruppo indipendente di esperti, denominato Grevio (Gruppo di esperti per la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica).
Durante il dibattito sulla ratifica del trattato dello scorso 9 maggio all’emiciclo di Stasburgo, le formazioni di destra all’Eurocamera hanno puntato il dito contro alcuni punti controversi. In primo luogo la definizione di genere come “i ruoli, i comportamenti, le attività e gli attributi socialmente costruiti che una data società considera appropriati per le donne e gli uomini”, una definizione ritenuta dal mondo conservatore troppo ampia. I gruppi Identità e Democrazia (Id) e Conservatori e Riformisti europei (Ecr) hanno definito la Convenzione uno “strumento della propaganda lgbtq+”, perché invita i Paesi aderenti a includere nei programmi scolastici materiali didattici sui “ruoli di genere non stereotipati”.
“L’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul costituisce una tappa importante per l’Ue”, ha sottolineato invece la commissaria europea per l’Uguaglianza, Helena Dalli. Perché in Europa una donna su tre continua a subire violenza fisiche o sessuali nell’arco della propria vita, e troppi colpevoli restano impuniti. Una piaga per cui, oltre all’adesione al trattato internazionale, la Commissione europea ha presentato una proposta legislativa, su cui si sono già espressi il Parlamento e il Consiglio e che si trova ora nella fase finale di negoziazione (i triloghi). Una trattativa infuocata, perché gli Stati membri hanno finora rimosso dal testo un paragrafo cruciale, quello sul riconoscimento e l’armonizzazione del reato di stupro per assenza di consenso in tutti gli Stati membri.