Bruxelles – Nessuna sorpresa nemmeno dalla seconda votazione in Parlamento, la Spagna dice ‘no’ a una coalizione di governo di destra. Come due giorni fa, anche oggi (29 settembre) il Congresso dei deputati ha respinto la candidatura del leader del Partido Popular (Pp), Alberto Núñez Feijóo, come primo ministro spagnolo, mettendo – almeno per il momento – fine alle speranze della coalizione formata dai popolari e dall’estrema destra di Vox. E, proprio come al primo turno di voto, la fiducia è stata respinta con i soliti quattro voti in meno rispetto alla soglia minima. Con un piccolo giallo (che non avrebbe cambiato comunque le sorti di Feijóo): un esponente di Junts per Catalunya, Eduard Pujol i Bonell, ha inizialmente espresso a favore – tra la perplessità dei colleghi di partito – correggendosi subito dopo e, dopo le consultazioni della presidenza del Congresso, è stato deciso di votarlo come voto nullo. Il risultato definitivo è 172 sì e 177 no.
“Si conclude oggi il mandato fallimentare di Feijóo, ora che questo spettacolo è finito, è tempo di lavorare di più per il governo progressista che la Spagna si merita“, ha commentato l’esito del voto in Parlamento la vicepremier uscente e leader della coalizione di partiti di sinistra Sumar, Yolanda Díaz, parlando dell’incarico atteso per il segretario generale del Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe), Pedro Sánchez. Il premier uscente dovrebbe essere convocato per l’inizio della settimana prossima da Re Felipe VI di Spagna, per ricevere l’incarico di presentarsi al Congresso dei deputati per cercare l’appoggio necessario per l’investitura, dopo un giro di consultazione del monarca con i leader dei partiti. Ma con la bocciatura di Feijóo è anche partito ufficialmente il conto alla rovescia per potenziali nuove elezioni anticipate in Spagna, che solo Sánchez potrà fermare. Il leader della coalizione progressista avrà 60 giorni per giocarsi le sue carte: in caso di fallimento il Parlamento sarà sciolto e si terrà la nuova tornata elettorale (non prima di 47 giorni), con la data più probabile per il ritorno al voto il 14 gennaio 2024.
Ecco perché è da settimane che i socialisti e gli alleati di sinistra stanno preparando la strada per provare ad assicurare la riconferma di Sánchez come primo ministro. Tentativi che coinvolgono i sette deputati di Junts per Catalunya – il partito secessionista catalano fondato dall’ex-presidente della Generalitat de Catalunya e oggi eurodeputato, Carles Puigdemont – e che vanno avanti dall’elezione della socialista Francina Armengol a presidente del Congresso lo scorso 17 agosto. “Vuole formare un governo di bugie ed inganni con i catalani”, è l’accusa lanciata da Feijóo all’indirizzo del leader socialista, dopo aver sottolineato che “ne è valsa la pena” provare a formare un governo di destra, dopo aver ricevuto da Re Felipe VI l’incarico di presentarsi per primo in Parlamento in qualità di vincitore delle elezioni del 23 luglio scorso.
Il possibile governo per la Spagna
Sono proprio gli indipendentisti catalani a rivelarsi decisivi per la formazione del governo di Madrid, in una Spagna spaccata in due dopo le elezioni di fine luglio. Già alla prima sessione del nuovo Parlamento ad agosto si era concretizzato l’avvicinamento tra i socialisti e i catalani – che aveva permesso l’elezione di Armengol – anche se Junts aveva precisato che l’intesa non riguardava una possibile investitura di Sánchez a premier. Eppure nel corso delle settimane successive si è assistito a un progressivo avvicinamento spinto dagli alleati più stretti del Psoe, la coalizione di partiti di sinistra Sumar. A una settimana dal voto in Parlamento il portavoce di Sumar ed eurodeputato del gruppo dei Verdi/Ale, Ernest Urtasun, aveva offerto i primi segnali di apertura alla costituzionalità di un’amnistia generale per tutte le persone coinvolte nell’organizzazione e lo svolgimento del referendum del 2017 sull’autodeterminazione della Catalogna.
Il confronto tra la sinistra e i catalani è continuato poi a Bruxelles, quando la vicepremier e ministra del Lavoro uscente, Yolanda Díaz (leader della coalizione Sumar), lo scorso 4 settembre ha incontrato Puigdemont al Parlamento Europeo per provare una mediazione che potesse sbloccare la nascita del governo Sánchez 3. Per il via libera è necessario il voto favorevole degli indipendentisti di Junts al primo tentativo, o una non-opposizione al secondo (per la soglia della maggioranza semplice), considerato il fatto che al momento il premier uscente può contare su 170 deputati: Psoe e Sumar ne portano 152 (rispettivamente 121 e 31), più 5 del Partito Nazionalista Basco (Eaj-Pnv), 7 della Sinistra Repubblicana di Catalogna (Erc) e 6 della coalizione di nazionalisti baschi progressisti Euskal Herria Bildu (Ehb). Ecco perché l’eurodeputato catalano è ben cosciente del potere nelle sue mani: “Non stiamo parlando di un ripiego per far avanzare la legislatura e chiudere la porta alla destra, ma del fatto che se ci sarà un accordo, sarà un compromesso storico come nessun regime o governo spagnolo è mai riuscito a realizzare”, ha messo in chiaro Puigdemont un giorno più tardi, elencando le condizioni per l’appoggio dall’esterno. Riconoscimento della legittimità dell’indipendenza catalana, abbandono dell’iter giudiziario, creazione di un meccanismo di mediazione e di verifica, promozione della lingua catalana nell’Unione Europea e amnistia per tutte le persone coinvolte nel referendum del 2017.