Bruxelles – Per ora nessun problema, almeno in termini di approvvigionamento e forniture. Ma dopo il caro-gas e il caro-elettricità adesso attorno all’Europa aleggia anche lo spettro del caro-uranio e quindi di un caro-nucleare. Perché un aumento dei prezzi della materia prima utile alle centrali, l’uranio, non può essere escluso. E’ l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, a non nascondere uno scenario che si inizia a considerare. Fin qui l’instabilità in Niger, uno dei principali fornitori globali di uranio e uno dei maggiori venditori all’Ue, non sembra avere particolari contraccolpi. Ad ogni modo, ammette, “in caso di improvvisa interruzione delle forniture, il prezzo dell’uranio naturale potrebbe subire un nuovo aumento”.
Se così fosse sarebbe un problema per il sistema europeo. Perché mezza Unione si affida a energia elettrica prodotta da atomo. Ben 13 Paesi su 27 hanno centrali in funzione e reattori attivi. Un caro-uranio, e di conseguenza un caro-nucleare, vedrebbe investiti Belgio, Bulgaria, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria. Ma potrebbe essere una cattiva notizia anche per l’Italia, al momento priva di centrali ma con un governo, quello attuale, deciso a inserire la produzione da atomo nel mix nazionale, in particolare attraverso i mini-reattori.
Dati alla mano, quelli forniti dagli europarlamentari della Lega nell’interrogazione a cui Borrell, rispondendo, ammette il rischio per i listini dell’uranio. Il Niger, settimo produttore mondiale, è molto importante per l’Ue. Secondo la World Nuclear Association, nel 2022 il Niger ha prodotto 2.020 tonnellate metriche di uranio, pari quasi al 5 per cento della produzione mineraria mondiale. Un quarto di questa produzione alimenta una parte degli oltre 100 reattori europei, soprattutto in Francia e Spagna. I dati dell’Agenzia di approvvigionamento dell’Euratom nel 2020 classificavano il Niger come primo fornitore dell’Ue, con il 24,26 per cento dell’uranio importato in Europa.
Borrell comunque cerca di non drammatizzare. E’ vero che a Bruxelles adesso si considera uno scenario di nuovo caro-energia legato all’atomo, “tuttavia – ricorda l’Alto rappresentante – il numero di impianti di produzione attualmente dismessi e di società minerarie junior interessate a esplorare nuovi giacimenti dovrebbe essere sufficiente a medio e lungo termine per colmare un eventuale deficit di approvvigionamento”. Cita Canada, Australia e Namibia. Fornitori alternativi e soprattutto produttori alternativi in grado di calmierare il prezzo della materia prima in caso di shock dell’offerta. Dunque l’Ue sembra prepararsi all’eventualità di intavolare nuove trattative per accaparrarsi l’uranio che manca su suolo europeo.