Bruxelles – Una sufficienza stentata, con ampi margini di miglioramento. È questa la valutazione della situazione complessiva in Italia dello stato di avanzamento del Decennio digitale, la strada che dovrebbe portare alla transizione e alla sovranità digitale dell’Unione Europea entro il 2030. “L’Italia ha un potenziale digitale non sfruttato per contribuire ulteriormente agli sforzi collettivi per raggiungere gli obiettivi del Decennio digitale”, è quanto si legge nel capitolo dedicato al Paese membro nella prima relazione pubblicata oggi (27 settembre) dalla Commissione Europea. Un alunno bravo, ma che si applica poco, si potrebbe riassumere il giudizio di Bruxelles.
La prima relazione sullo stato del Decennio digitale traccia un bilancio sugli obiettivi e i traguardi raggiunti a livello comunitario dal momento della presentazione della Bussola digitale 2030 nel marzo di due anni fa, accompagnata da relazioni specifiche su ciascuno dei 27 Paesi membri che forniscono un quadro più dettagliato dello stato dell’arte. A proposito dell’Italia, “negli ultimi anni ha compiuto progressi significativi in termini di infrastrutture, ma si colloca al di sotto della media Ue per quanto riguarda le competenze e alcuni aspetti della digitalizzazione dei servizi pubblici”. Allo stesso tempo però sono incoraggianti i segnali che arrivano dalle strategie in materia di cloud, blockchain, intelligenza artificiale e sicurezza informatica, oltre alle riforme e agli investimenti previsti dal Piano di ripresa e resilienza che “creano un solido quadro di riferimento per il raggiungimento di un digitale sostenibile e inclusivo”, si legge nel rapporto della Commissione. A questo si aggiunge sia il fatto che il Paese “sta collaborando con altri Stati membri per esplorare la possibilità di creare un Consorzio europeo per le infrastrutture digitali (Edic) per istituire la European Cybersecurity Skills Academy”, sia che compaia tra quelli che hanno presentato “domanda formale per istituire il partenariato europeo per la blockchain e il Consorzio sull’infrastruttura europea per la blockchain” come sostegno ai servizi pubblici transfrontalieri dell’Unione.
I punti di debolezza italiani nel Decennio digitale
È la questione delle competenze digitali a trascinare verso il basso la valutazione della strategia nazionale verso il 2030. “I progressi dell’Italia rimangono lenti e contribuiscono solo modestamente all’obiettivo del Decennio digitale, solo il 46 per cento della popolazione possiede competenze digitali di base“, evidenzia Bruxelles. Questo fattore “compromette la capacità di beneficiare delle opportunità e di esercitare la cittadinanza digitale e ha un impatto negativo sull’inclusività” nel Paese. Si aggiunge poi il fatto che – nonostante nel Pnrr siano presenti riforme e investimenti per aumentare il livello di competenze di base e professionali – “il numero di imprese che offrono effettivamente formazione ai propri dipendenti è ancora insufficiente“. Il numero di laureati in Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) “rimane significativamente al di sotto delle ambizioni del Decennio Digitale dell’Ue” – attorno all’1,5 per cento rispetto alla media Ue del 4,2 – e questo ha un impatto sulla capacità del Paese di “soddisfare la domanda di professionisti qualificati da parte delle imprese”. Lo stesso si può dire della presenza femminile, al 16 per cento “ben al di sotto della media Ue del 18,9”. Ecco perché tra le raccomandazioni di Bruxelles compare “l’aggiornamento e la riqualificazione della forza lavoro”, l’introduzione di “una previsione delle competenze per soddisfare le esigenze del mercato” e l’aumento della “capacità dei sistemi educativi di formare un maggior numero di specialisti”.
Anche sul piano delle tecnologie all’avanguardia “l’Italia dovrebbe continuare a sostenerne lo sviluppo e la diffusione in particolare l’intelligenza artificiale e i big data“. Secondo quanto emerge dai dati pubblicati dall’esecutivo comunitario, se è positivo il fatto che il cloud sia utilizzato dal 52 per cento delle imprese (“ben al di sopra della media Ue del 34”), il quadro è molto diverso per i big data e l’intelligenza artificiale, dove rispettivamente solo il 9 e il 6 per cento delle imprese ne ha sfruttato i benefici a livello aziendale e di produzione. Allo stesso modo – nonostante la partecipazione “attiva” alla rete degli European Digital Innovation Hub – “la possibilità per le start-up di crescere in Italia rimane limitata rispetto ad altri Stati membri“. Ecco perché il Paese dovrebbe “rafforzare gli sforzi per incoraggiare l’imprenditorialità nei settori digitali e creare un ecosistema di innovazione”, in particolare per le start-up e le piccole e medie imprese, “migliorando le loro possibilità di scalare”.
I punti di forza italiani verso il 2030
Tra i punti più positivi per il Decennio digitale va segnalato invece il lavoro su semiconduttori e del cloud computing. “L’Italia continua a rafforzare la propria posizione nei settori delle tecnologie dei semiconduttori e del cloud computing” e la raccomandazione è proprio quella di “proseguire le misure adottate per aiutare l’Ue a diventare un forte attore di mercato in questi settori”. Gli investimenti nell’ambito del programma di ricerca e sviluppo includono il sostegno alla partecipazione al progetto di interesse comune europeo ‘Microelettronica e tecnologie della comunicazione’, “con 10 partecipanti diretti attivi in un’ampia gamma di applicazioni”, mentre il Paese è considerato “all’avanguardia” nel campo del calcolo ad alte prestazioni (Hpc) e del calcolo quantistico. Questo è possibile grazie alla presenza sul territorio nazionale di Leonardo, il sistema di supercalcolo di livello mondiale sviluppato e assemblato in Europa che è “attualmente il quarto supercomputer più potente al mondo” e sarà ulteriormente migliorato per diventare “uno dei primi computer quantistici costruiti in Europa”. Inoltre è stata lanciata TeRabit, un’infrastruttura basata su fibre ottiche di ultima generazione, che consente lo scambio di dati a mille miliardi di bit al secondo: “Diversi operatori stanno iniziando a implementare un’infrastruttura edge cloud più decentralizzata”.
Da rilevare anche il fatto che la maggior parte delle piccole e medie imprese italiane (70 per cento) ha “almeno un livello base di intensità digitale” in linea con la media Ue (69), con progressi “particolarmente forti” nell’uso delle fatture elettroniche. L’Italia poi ha raggiunto la copertura 5G a livello nazionale, garantita all’80 per cento delle famiglie. Ma è il Piano nazionale di ripresa e resilienza a prospettare le speranze maggiori, con i suoi 48 miliardi di euro destinati alla trasformazione digitale (il 25 per cento complessivo), “di cui 42 miliardi di euro dovrebbero contribuire agli obiettivi del Decennio digitale“. Diverse misure digitali sono già state realizzate, come quella sul ‘Cloud First e Interoperabilità’, la riforma degli appalti per le Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic), la razionalizzazione e l’accelerazione degli appalti per le Tic, gli inviti a manifestare interesse per selezionare progetti nell’ambito degli ‘Importanti progetti di interesse comune europeo’, l’adozione di un Piano nazionale per le nuove competenze e cinque misure per la connettività.