Bruxelles – La prima prova del voto in Parlamento è arrivata e, come da previsioni, ha visto un fallimento da parte del vincitore delle elezioni in Spagna del 23 luglio scorso. Nel corso di una sessione attesa con impazienza da due mesi, il Congresso dei deputati ha respinto oggi (27 settembre) la candidatura del leader del Partido Popular (Pp), Alberto Núñez Feijóo, a nuovo premier spagnolo con 178 voti contrari e 172 a favore, confermando le quote previste alla vigilia e le speranze (nulle) del presidente popolare di garantirsi altri deputati oltre a quelli dell’estrema destra di Vox e dei due partiti minori che lo sostengono, Coalizione Canaria e Unione del Popolo Navarro.
Dopo aver ricevuto il 22 agosto da Re Felipe VI di Spagna l’incarico di presentarsi per primo in Parlamento per cercare l’appoggio necessario per l’investitura – in qualità di vincitore delle elezioni di luglio – Feijóo avrebbe dovuto assicurarsi il sostegno della maggioranza assoluta dei deputati – 176 su 350 – ma come prevedibile non è andato oltre i 172 già sicuri (i 137 del Pp con i 33 di Vox e uno per ciascuno degli altri due piccoli partiti alleati). Secondo quanto previsto dalla Costituzione spagnola il Parlamento voterà una seconda volta entro 48 ore con la soglia fissata alla maggioranza semplice (dei voti espressi, non del totale dei seggi), ma per la seduta fissata per venerdì (29 settembre) non si prevedono sostanziali novità sul respingimento della candidatura di Feijóo a premier della Spagna.
Ecco perché il premier uscente e segretario generale del Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe), Pedro Sánchez, sta già preparando la strada per provare ad assicurarsi la riconferma come primo ministro. Se sarà confermato venerdì il verdetto per Feijóo, re Felipe VI dovrà convocare i leader dei partiti politici per fare il punto su chi dovrà essere il prossimo candidato all’investitura. E Sánchez è in prima linea, come dimostrano i tentativi – che vanno avanti dall’elezione della socialista Francina Armengol a presidente del Congresso lo scorso 17 agosto – di coinvolgere i sette deputati di Junts per Catalunya, il partito secessionista catalano fondato dall’ex-presidente della Generalitat de Catalunya e oggi eurodeputato, Carles Puigdemont. Con la bocciatura del primo candidato parte ufficialmente il conto alla rovescia per potenziali nuove elezioni anticipate in Spagna. In caso di incarico Sánchez avrà 60 giorni per giocarsi le sue carte e farsi eleggere dal Congresso dei deputati, ma in caso di fallimento il Parlamento sarà sciolto e si terrà la nuova tornata elettorale (non prima di 47 giorni). In questo scenario la data più probabile per il ritorno al voto è il 14 gennaio 2024.
Quale possibile governo rimane per la Spagna
Sono proprio gli indipendentisti catalani a rivelarsi decisivi per la formazione del governo di Madrid, in una Spagna spaccata in due dopo le elezioni di fine luglio. Già alla prima sessione del nuovo Parlamento ad agosto si era concretizzato l’avvicinamento tra i socialisti e i catalani – che aveva permesso l’elezione di Armengol – anche se Junts aveva precisato che l’intesa non riguardava una possibile investitura di Sánchez a premier. Eppure nel corso delle settimane successive si è assistito a un progressivo avvicinamento spinto dagli alleati più stretti del Psoe, la coalizione di partiti di sinistra Sumar. A una settimana dal voto in Parlamento il portavoce di Sumar ed eurodeputato del gruppo dei Verdi/Ale, Ernest Urtasun, aveva offerto i primi segnali di apertura alla costituzionalità di un’amnistia generale per tutte le persone coinvolte nell’organizzazione e lo svolgimento del referendum del 2017 sull’autodeterminazione della Catalogna.
Il confronto tra la sinistra e i catalani è continuato poi a Bruxelles, quando la vicepremier e ministra del Lavoro uscente, Yolanda Díaz (leader della coalizione Sumar), lo scorso 4 settembre ha incontrato Puigdemont al Parlamento Europeo per provare una mediazione che potesse sbloccare la nascita del governo Sánchez 3. Per il via libera è necessario il voto favorevole degli indipendentisti di Junts al primo tentativo, o una non-opposizione al secondo (per la soglia della maggioranza semplice), considerato il fatto che al momento il premier uscente può contare su 170 deputati: Psoe e Sumar ne portano 152 (rispettivamente 121 e 31), più 5 del Partito Nazionalista Basco (Eaj-Pnv), 7 della Sinistra Repubblicana di Catalogna (Erc) e 6 della coalizione di nazionalisti baschi progressisti Euskal Herria Bildu (Ehb). Ecco perché l’eurodeputato catalano è ben cosciente del potere nelle sue mani: “Non stiamo parlando di un ripiego per far avanzare la legislatura e chiudere la porta alla destra, ma del fatto che se ci sarà un accordo, sarà un compromesso storico come nessun regime o governo spagnolo è mai riuscito a realizzare”, ha messo in chiaro Puigdemont un giorno più tardi, elencando le condizioni per l’appoggio dall’esterno. Riconoscimento della legittimità dell’indipendenza catalana, abbandono dell’iter giudiziario, creazione di un meccanismo di mediazione e di verifica, promozione della lingua catalana nell’Unione Europea e amnistia per tutte le persone coinvolte nel referendum del 2017.