Bruxelles – Quello che si temeva, si sta concretizzando. Dopo la resa delle forze separatiste del Nagorno-Karabakh all’esercito azero di mercoledì scorso (20 settembre), dall’enclave armena in Azerbaigian è iniziato un esodo di massa che ha già visto la fuga di circa 13.500 persone verso l’Armenia attraverso il corridoio di Lachin. Proprio quel collegamento stradale tra l’entità separatista e il territorio armeno rimasto bloccato per mesi e che ha scatenato una crisi umanitaria nella regione, oggi è percorso da centinaia di veicoli che cercano rifugio a Yerevan dalle possibili conseguenze di una pulizia etnica che ancora si teme possa essere attuata dal governo di Baku.
È per questo motivo che – fallita la mediazione tra Armenia e Azerbaigian tentata dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel – l’Unione Europea sta cercando di fare il possibile quantomeno sul piano umanitario. Perché se è vero che Bruxelles non potrà più far registrare progressi per una soluzione di compromesso tra le parti, questo non significa che non possa mobilitare sostegno economico per i rifugiati fuori e dentro il Nagorno-Karabakh. Ecco perché la Commissione Ue ha reso noto oggi (26 settembre) di aver incrementato a 5 milioni di euro il finanziamento per le “crescenti necessità derivanti dalla crisi” nella regione. È lo stesso esecutivo comunitario a mettere in chiaro che l’escalation del conflitto il 19 settembre e il successivo cessate il fuoco dopo nemmeno 24 ore “dovrebbero innescare un esodo di massa di persone dal Nagorno-Karabakh verso l’Armenia. Già un decimo della popolazione (su un totale di circa 120 mila persone) ha attraversato il confine, mentre anche all’interno dell’enclave armena in Azerbaigian “si registra una grave carenza di cibo e la mancanza di accesso all’elettricità e all’acqua”.
Come rendono noto fonti Ue, a Bruxelles è previsto per oggi un incontro voluto dal Consiglio con i rappresentanti di Armenia e Azerbaigian (insieme a quelli di Francia e Germania e il rappresentante speciale per il Caucaso meridionale, Toivo Klaar), con l’obiettivo di “preparare un possibile incontro a livello di leader a Granada”, in occasione del terzo vertice della Comunità Politica Europea il 5 ottobre. Ma intanto il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, mette in guardia sul fatto “dobbiamo essere pronti a sostenere le migliaia di persone che hanno deciso di fuggire dal Nagorno-Karabakh, soprattutto perché il prossimo inverno potrebbe esporre i rifugiati a ulteriori sfide“.
Il finanziamento umanitario deciso oggi comprende i 500 mila euro di sostegno d’emergenza già annunciati la scorsa settimana e altri 4,5 milioni di euro di nuovi finanziamenti per assistere sia le persone sfollate dirette in Armenia (con denaro, alloggi, sicurezza alimentare e mezzi di sussistenza), sia le persone vulnerabili all’interno del Nagorno-Karabakh (cibo, assistenza sanitaria, alloggi e logistica). Tutti gli aiuti saranno destinati a partner umanitari dell’Ue che operano in Armenia e al Comitato internazionale della Croce Rossa per raggiungere Stepanakert e si stima di poter raggiungere circa 85 mila persone in totale. Con l’obiettivo di “garantire una risposta rapida alla crisi”, da Bruxelles è in partenza anche “un esperto umanitario che lavorerà a stretto contatto” con le Ong in loco.
Il conflitto in Nagorno-Karabakh
Tra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev.
L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che, per la sproporzione di forze in campo, ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert.