Bruxelles – Ha tenuto la barra a dritta in Italia, e lavorato perché anche l’Unione europea riuscisse a non smarrirsi. Deciso in ogni occasione, Giorgio Napolitano, scomparso oggi (22 settembre) a 98 anni, che fosse Montecitorio, palazzo Madama, o quell’Aula di un Parlamento europeo in cui ha seduto, nella sua lunga carriera politica, per due occasioni, dal 15 luglio 1989 al 10 giugno 1992, e dal 20 luglio 1999 al 19 luglio 2004. Ha visto il mondo cambiare da Bruxelles. La caduta del muro di Berlino prima, il crollo dell’Unione sovietica, poi. Ma senza perdere un europeismo grande assente nella classe politica e dirigente di oggi.
Da presidente della Repubblica, nel 2011, ha guidato il Paese fuori dalla tempesta fatta di spread alle stelle, attacchi speculativi e scommesse di default, giocando un ruolo molto attivo, senza precedenti per la storia repubblicana del Paese e le attribuzioni del capo dello Stato. Stringe un patto con l’ormai sfiduciato Silvio Berlusconi: dimissioni dopo la l’approvazione della manovra e poi guida del governo a Mario Monti, un tecnico noto e apprezzato a Bruxelles.
Napolitano diventa per tutti, in Europa, sinonimo di garanzia e affidabilità. Perché dopo Romano Prodi l’Italia non ha brillato per classe dirigente capace di mostrarsi capace. Berlusconi litigioso e vittima delle sue vicende personali sui giornali, Renzi che si rottama da solo: anche per questo Napolitano diviene, per forza di cose, interlocutore di fiducia dei leader degli altri Paesi.
Proverà a ricoprire questo ‘incarico’ di garanzia anche dopo il suo mandato di presidente della Repubblica. Col garbo istituzionale che comunque lo contraddistingue invita ad aprire gli occhi di fronte a membri di un’Unione che dell’Unione si fanno beffe. Sono attacchi all’Ungheria di Orban e alla Polonia di Kacynsky, ma più in generale di chi sventola parvenze di integrazione con il solo obiettivo di tradirla. Ricorda come sia stata fatta fallire la Comunità europea della difesa, e come e quanto il progetto federale sia stato accantonato.
Non a caso, in veste di presidente della Repubblica, esorta l’Aula del Parlamento europeo per avvertirla dei rischi in atto. a trovare “nuove motivazioni” per proseguire con il progetto comune. Senza per questo ricordare quelle vecchie: “Ieri la molla del porre fine ai nazionalismi economici e politici, generatori di conflitti fatali, era una molla potente per conquistare consensi alla causa dell’unità europea”. Un messaggio ancor più attuale di quanto potesse esserlo dieci anni fa, momento di pronunciamento del discorso.
Il 24 marzo 2013 offre lezioni di integrazione, vera, e riconciliazione reale, nell’abbraccio al presidente tedesco Joachim Gauck di fronte al monumento in ricordo dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944 (560 vittime civili). Un atto pubblico di quel rappacificamento alla base del progetto europeo a cui offre e chiede memoria. “Vedete, l’Europa unita l’abbiamo costruita insieme in questi sessant’anni e la costruzione è ancora ben lontana dall’essere terminata“.
Parole di che a distanza di un decennio restano attuali e che rimangono un’agenda politica chiara. Quel “guardiamo avanti” pronunciato in compagnia del presidente della Repubblica tedesca è un invito a terminare il progetto europeo, un invito che stride con visioni di chi, anche oggi nell’Italia di oggi, questa Europa la rinnega, che è l’esatto contrario di chi a distanza di quasi un secolo pretende risarcimenti di guerra, che preferisce la via dell’egoismo a quella della cooperazione.
Napolitano ha dunque vestito i panni di uno degli ultimi veri baluardi di una certa Italia in Europa, permettendo al Paese di conservare una credibilità che la nuova generazione di politici non ha saputo fin qui né provare né mostrare.