Bruxelles – La causa è di quelle sacrosante, l’orizzonte appare più lontano che mai. Il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, non demorde e rilancia un processo di pace tra Israele e Palestina fondato sulla soluzione di vecchia data dei due Stati. Non è solo, con lui ci sono anche la Lega degli Stati Arabi, l’Arabia Saudita, l’Egitto e la Giordania. Ma le più distanti sembrano proprio essere Tel Aviv e Ramallah.
Nel corso del 2023, già segnato da un’escalation di scontri che – secondo i dati di Ocha-opt, l’Ufficio delle Nazioni Unite nei territori Palestinesi occupati – hanno causato 219 vittime palestinesi e 29 israeliane, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri ha lanciato numerosi appelli a entrambe le parti per mettere fine alle violenze. Per ora sono rimasti inascoltati, e gli unici motivi che possono far pensare ad un esito diverso di questo ennesimo sforzo sono il palcoscenico scelto per inaugurarlo e gli obiettivi pratici che si è dato.
A New York per la 78esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, lunedì 18 settembre l’Unione europea, il Regno dell’Arabia Saudita, la Lega degli Stati Arabi, in collaborazione con la Repubblica Araba d’Egitto e il Regno di Giordania – e alla presenza di quasi cinquanta ministri degli Esteri di tutto il mondo-, hanno inaugurato il ‘Peace Day Effort‘. Uno sforzo che “mira a produrre un pacchetto di sostegno alla pace”, con programmi e contributi dettagliati, condizionati al raggiungimento di un accordo tra le parti sullo status finale della regione dilaniata da un conflitto secolare.
Durante l’incontro, sono stati avviati gruppi di lavoro incaricati di elaborare le componenti di questo pacchetto: un team dedicato al lavoro politico e di sicurezza, incentrato sullo “sviluppo di uno schema di potenziali meccanismi di cooperazione regionale, politica e di sicurezza post-pace”, un gruppo di lavoro economico e ambientale, che si è concentrato sullo sviluppo di “proposte di cooperazione economica, anche nei settori del commercio, dell’innovazione, delle infrastrutture di trasporto, delle risorse naturali, dell’ambiente”, ed un ultima equipe di lavoro sulla dimensione umana, dedicata allo sviluppo di “proposte di cooperazione in questioni umanitarie, interculturali e di sicurezza umana”. I progressi dei tre gruppi verranno valutati ogni tre mesi, a partire dal prossimo dicembre, con l’obiettivo di unire i loro contributi e presentare il Pacchetto di sostegno alla pace entro il settembre del 2024.
Borrell incontra il primo ministro Shtayyeh: “Necessario garantire uno stato palestinese sovrano”
Questo vasto piano di supporto entrerebbe in vigore il giorno in cui venisse siglata la storica pace. Ma non una qualunque: come assicurato da Borrell al primo ministro palestinese, Mohammed Shtayyeh, con cui ha avuto un bilaterale nella giornata di ieri (19 settembre), il rinnovato impegno non potrà prescindere dalla “necessità di preservare la soluzione dei due Stati garantendo uno stato palestinese sovrano, indipendente e contiguo“, basato sulle linee antecedenti alla guerra dei 6 giorni del giugno 1967. In attesa del vertice politico ad alto livello tra i ministri degli Esteri dei 27 e l’Autorità palestinese, previsto per novembre, Borrell ha insistito con Shtayyeh sulla necessità che “entrambe le parti collaborino per porre fine al terrorismo e all’incitamento alla violenza e per fermare le misure unilaterali che minano ulteriormente le prospettive di una soluzione a due Stati”. E ha sollecitato il primo ministro di Ramallah a convocare elezioni nazionali “attese da tempo”.
Come si legge in una nota pubblicata dal Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), Shtayyeh “è stato informato dell’incontro presieduto dall’Alto rappresentante con l’Arabia Saudita, la Lega degli Stati arabi, l’Egitto e la Giordania, incentrato sulle possibili modalità di rilancio del processo di pace in Medio Oriente” e sullo sviluppo di “una visione positiva con un ampio sostegno da parte della comunità internazionale per contribuire a promuovere la pace, la stabilità e la sicurezza nella regione”. Un incontro a cui però, oltre all’Autorità palestinese, non era presente neanche Israele. Che sulla condanna di “tutte le misure volte ad alterare la composizione demografica, il carattere e lo status del territorio palestinese occupato dal 1967”, ribadita durante il vertice, avrebbe qualcosa da ridire.