Bruxelles – Ancora uno, ritagliato ad hoc per una situazione eccezionale. Per rispondere a quella che a Lampedusa sta iniziando ad avere i tratti di una crisi umanitaria, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha voluto presentare personalmente sull’isola – in conferenza stampa con la prima ministra italiana, Giorgia Meloni – il nuovo piano d’azione Ue per la gestione della migrazione. È il quinto in nemmeno un anno e, se analizzati a uno a uno, i 10 punti di cui è costituito, rappresenta tutt’altro che una novità.
“È molto importante per me essere qui con voi, perché la migrazione irregolare è una sfida europea e ha bisogno di una risposta europea“, ha esordito la numero uno dell’esecutivo comunitario di fronte alla stampa domenica mattina (17 settembre), dopo la visita all’isola e all’hotspot di Lampedusa da giorni tornato al centro dell’attenzione pubblica per il sovraffollamento e le condizioni ormai insostenibili per le persone accolte. Accompagnata dalla premier Meloni, dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, la presidente von der Leyen ha voluto sottolineare che “tutti coloro che sono coinvolti – siano essi gli abitanti di Lampedusa, le autorità locali o i migranti – sono coinvolti in questa situazione, che non dipende da loro”, riproponendo un’analisi della situazione quantomeno parziale: “Un numero crescente di migranti lascia il proprio Paese d’origine, sono attirati da trafficanti e scafisti senza scrupoli” e l’arrivo a Lampedusa sarebbe legato “semplicemente per la sua posizione”. Per affrontare una “pressione crescente” la risposta delle due leader è allineata. E von der Leyen mostra di essere sempre più spostata verso una retorica securitaria: “Saremo noi a decidere chi entra nell’Unione Europea e in quali circostanze, non i contrabbandieri e i trafficanti”.
Quello per Lampedusa è l’ennesimo piano d’azione sulla gestione delle rotte utilizzate dalle persone migranti in arrivo sul territorio comunitario. Il primo era stato presentato il 21 novembre dello scorso anno e come focus aveva proprio la rotta del Mediterraneo centrale, nella quale è interessata l’Italia. Passando da quello per la rotta balcanica e quello per la gestione delle frontiere e dei rimpatri, si è arrivati il 6 giugno all’ultimo della serie, con al centro la rotta del Mediterraneo occidentale e dell’Atlantico. Il piano d’azione per Lampedusa tecnicamente dovrebbe costituire il più specifico tra i cinque, ma le linee operative non mostrano sostanziali novità o svolte significative nella politica migratoria dell’Unione prima della futura entrata in vigore del Patto migrazione e asilo in corso di negoziati inter-istituzionali.
Il piano d’azione per Lampedusa punto per punto
Il primo punto del piano d’azione per Lampedusa prevede il rafforzamento del sostegno all’Italia da parte dell’Agenzia Ue per l’asilo (Euaa) e della Guardia di frontiera e costiera europea (Frontex) per la “crisi immediata”, in particolare sul piano della registrazione degli arrivi e il rilevamento delle impronte digitali. Già il secondo punto mostra la velleità del piano presentato da von der Leyen: per “aumentare il nostro sostegno nel trasferire i migranti fuori da Lampedusa” la soluzione è sostenere quel meccanismo di solidarietà volontaria per i ricollocamenti che sta mostrando gravi crepe sul breve e lungo periodo. E poi c’è la promessa di intensificare i rimpatri “rapidi” verso Guinea, Costa d’Avorio, Senegal e Burkina Faso con il coordinamento di Frontex, nonostante il costo per persona sia piuttosto elevato e non possa essere imposto ai Paesi terzi: “Invierò il vicepresidente Margaritis Schinas a negoziare”, ha anticipato von der Leyen.
Non poteva mancare la “prevenzione delle partenze stabilendo partenariati operativi per la lotta al contrabbando“, con una prima menzione alla Tunisia: sia un “accordo di lavoro” Ue-Tunisi, sia una task force Europol “per concentrarsi sulla lotta al contrabbando lungo la rotta verso la Tunisia e verso Lampedusa”. Il punto sulla sorveglianza delle frontiere marittime può essere considerato il più controverso, per diversi motivi: in primis per l’assenza di qualsiasi riferimento al blocco navale europeo chiesto dalla premier italiana, ma anche per il rinnovato impulso alla “fornitura di attrezzature e formazione” per la guardia di frontiera tunisina, sul modello libico e nonostante le violazioni dei diritti umani riportate a più riprese nel Paese. Le “opzioni per espandere le missioni navali nel Mediterraneo” – dopo la chiusura dell’operazione Sophia – rimangono invece un mistero. Non passa inosservata l’insistenza sulla lotta al contrabbando, attraverso “misure per limitare l’uso di imbarcazioni non idonee e agire contro le catene di approvvigionamento e la logistica dei contrabbandieri”.
Ci sono poi misure che semplicemente sono già in atto e la cui definizione in un piano d’azione non può essere altro che un “aumentare” l’intensità e lasciare vaghi i dettagli più critici. Dall’applicazione di “procedure rapide e accelerate alle frontiere” – anche se il concetto di “Paese d’origine sicuro” è opinabile, dal momento in cui non esiste una lista europea di Paesi sicuri o meno – alle “campagne di sensibilizzazione e comunicazione per disincentivare le traversate del Mediterraneo”, con un lavoro parallelo per “offrire alternative come l’ammissione umanitaria e i percorsi legali” (è proprio l’assenza di “percorsi legali” come la concessione di visti di lavoro una delle ragioni che spingono le persone a migrare in modo irregolare). Fino alla cooperazione con l’Unhcr e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) sia per la protezione lungo il percorso sia per i rimpatri volontari “assistiti dai Paesi di transito”. Fino all’ultimo punto che rilancia le perplessità nei confronti della strategia del gabinetto von der Leyen: “Lavoreremo con la Tunisia per l’attuazione del memorandum d’intesa“. Un protocollo che – come quello in vigore dal 2016 con la Turchia – non ha alcun valore legale per l’Unione e che si trova sotto il fuoco incrociato del Parlamento Ue e della mediatrice europea. Ma questo apparentemente non frenerà “l’aggiudicazione di nuovi progetti e l’erogazione di fondi alla Tunisia“.