Bruxelles – Un’altra tappa fondamentale nella corsa dell’Ue verso la realizzazione del Green Deal. Con 363 voti a favore, 226 contrari e 46 astenuti, l’Eurocamera ha dato il via libera ai limiti più stringenti sulla qualità dell’aria proposti dall’esecutivo von der Leyen lo scorso ottobre. Fallisce il boicottaggio dei gruppi di destra: Conservatori e riformisti (Ecr) e Identità e Democrazia (Id) votano in blocco contro la normativa, ma il Partito Popolare europeo si spacca e incassa un’altra sconfitta.
La posizione adottata dal Parlamento prevede una stretta sugli attuali limiti consentiti di alcune sostanze inquinanti, in vista del raggiungimento dell’ambizioso obiettivo dell’inquinamento zero entro il 2050. La revisione alla direttiva vigente, che risale al 2008, fissa nuovi standard provvisori di qualità dell’aria per il 2035, che si avvicinano alle indicazioni più recenti dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ad esempio, per quanto riguarda il particolato fine (Pm2,5), principale inquinante, la Commissione ha proposto di ridurre di oltre la metà il valore limite annuo presente nell’atmosfera, da 25 a 10 microgrammi per metro cubo. Limiti più stringenti anche per il Pm10, l’ozono, il biossido di azoto, il biossido di zolfo e il monossido di carbonio.
Il testo sottolinea la necessità di aumentare il numero di siti di monitoraggio della qualità dell’aria: uno ogni due milioni di abitanti, ma nelle aeree più soggette a elevate concentrazioni di inquinamento uno ogni milione di abitanti. Inoltre, la proposta sancisce il diritto dei cittadini europei a essere risarciti in caso di danni alla salute causati da violazioni delle norme Ue e si pone come obiettivo di fare maggiore chiarezza sulle informazioni pubbliche sulla qualità dell’aria.
Perché i dati sono pesanti: come ricordato all’emiciclo di Strasburgo dal commissario Ue per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, “ogni anno quasi 300 mila europei muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico”, un numero “enorme di vite che non possiamo permetterci di perdere”. Secondo Sinkevicius – e secondo la valutazione d’impatto condotta dalla Commissione europea- “i nuovi standard permetterebbero di ridurre le morti premature dovute all’inquinamento dell’aria di almeno il 70 per cento nei prossimi 10 anni”. Lo studio su cui si poggia la direttiva conferma che gli obiettivi provvisori potranno essere raggiunti “per il 94% delle stazioni di monitoraggio dell’Ue, con benefici almeno sette volte superiori ai costi”.
La destra italiana in difesa della Pianura Padana. Ma il Ppe si spacca
In quel restante 6%, l’ha ammesso lo stesso Sinkevicius, rientra con ogni probabilità la pianura Padana. In compagnia di Catalogna e Paesi Bassi, regioni industriali e caratterizzate da condizioni morfologiche specifiche. Ma “non è necessario abbattere le Alpi”, ha dichiarato ironicamente il commissario. “Nel Nord Italia ci sono circostanze orografiche che portano all’accumulo dell’inquinamento d’aria, con un peggioramento legato all’incenerimento delle biomasse e al riscaldamento domestico nella valle del Po’- ha riconosciuto in aula Sinkevicius-, per questo la nostra proposta prevede già la possibilità di rinviare il raggiungimento delle scadenze in determinate situazioni specifiche”.
Già presente nella proposta della Commissione, la possibilità di deroga è stata lievemente emendata in Commissione per l’Ambiente e la sanità pubblica (Envi) nel testo approvato con 34 voti a favore, 8 contrari e 1 astenuto lo scorso 27 giugno. In sostanza, se in una determinata zona non è possibile raggiungere la conformità ai valori limite fissati per il particolato (Pm10 e Pm2,5) o il biossido di azoto entro il termine stabilito, “a causa delle eccezionali e inevitabili caratteristiche di dispersione specifiche del sito, delle condizioni dei confini orografici o dell’apporto di inquinanti transfrontalieri, uno Stato membro può prorogare tale termine una volta di cinque anni al massimo per la zona in questione”. Non abbastanza per la destra italiana all’Eurocamera, che già in Envi si era opposta in blocco alla normativa e che ha votato compatta anche in sessione plenaria. Per la possibilità di deroga troppo limitata, ma soprattutto per una “valutazione d’impatto viziata da errori strutturali che incidono sulla fattibilità del conseguimento dei limiti proposti”.
In particolare la Lega “aveva chiesto di posticipare la data di introduzione dei nuovi limiti al 2040, l’aumento dei valori limite e una maggiore flessibilità nell’accesso alla deroga”, ha spiegato l’eurodeputata del Carroccio Gianna Gancia, membra della commissione Envi e relatrice ombra del provvedimento, ma “non ci hanno ascoltato”. Per Gancia il voto di oggi è “uno schiaffo” al settore produttivo italiano, che “contribuirà solo alla deindustrializzazione e all’impoverimento di regioni trainanti dell’economia, senza peraltro portare benefici all’ambiente”.
A fare rumore è la frattura consumatasi nel gruppo dei Popolari, nel giorno in cui il suo leader Manfred Weber ha rivendicato il contributo del Ppe a “32 file su 34 del Green Deal” e ha celebrato la forza della maggioranza Ursula, composta appunto da Popolari, Socialdemocratici e Liberali. Il primo gruppo politico dell’Eurocamera è stato l’unico a spaccarsi, con 53 voti favorevoli, 90 contrari e 20 astenuti. Tra i 90 che hanno provato ad affossare la legge, c’era anche Manfred Weber.
“Questa relazione, un nuovo passo avanti nella tutela dell’ambiente e della salute, è stata approvata in Plenaria con una maggioranza molto stretta. Le destre sempre più spesso si oppongono ai cambiamenti, difendendo interessi particolari contro a quello più generale e più alto delle generazioni future”, commenta dopo il voto Achille Variati, europarlamentare del Pd. “E per questo l’Europa, e un’Europa progressista, sono fondamentali: perché solo qui possiamo definire politiche ambientali efficaci, superando gli egoismi e le paure dei singoli Stati”, aggiunge.