Bruxelles – Luce verde. L’Europarlamento riunito in sessione plenaria a Strasburgo ha confermato oggi (12 settembre) con 470 voti a favore, 120 contrari e 40 astenuti l’accordo con gli Stati membri sulla revisione della Direttiva sull’energia rinnovabile. L’accordo raggiunto con il Consiglio a marzo prevede di alzare l’obiettivo vincolante di quota di rinnovabili nel mix energetico dell’Ue fino al 42,5 per cento entro il 2030, dall’attuale 32 per cento previsto dalla direttiva del 2018.
Il testo su cui i colegislatori hanno raggiunto un accordo a marzo era rimasto in stallo per mesi in Consiglio Ue a causa delle pressioni francesi per il riconoscimento dell’energia nucleare nei target rinnovabili ed è stato convalidato dagli ambasciatori dei 27 Stati membri solo lo scorso 19 giugno, dopo circa un mese di impasse. I governi hanno accordato il via libera solo dopo aver aggiunto un nuovo ‘considerando’ al testo di compromesso che riguarda gli impianti di ammoniaca per andare incontro alle richieste francesi. Quindi è stato possibile calendarizzare il voto anche in Parlamento, che ha accolto la richiesta dei governi di modificare il testo di compromesso. La revisione della direttiva rinnovabili (risalente al 2018) è uno dei dossier chiave del pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, presentato a luglio 2021 dalla Commissione europea come una tabella di marcia per abbattere le emissioni del 55 per cento entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990).
Oltre all’aumento dei target, la nuova normativa prevede, tra le altre cose, di snellire le procedure per la concessione di permessi per nuovi impianti di energia rinnovabile, come pannelli solari e centrali eoliche, o per l’adeguamento di quelli esistenti. Le autorità nazionali non potranno impiegare più di un anno per autorizzare la costruzione di nuovi impianti di energia rinnovabile situati nelle cosiddette “zone di riferimento per le energie rinnovabili”, che dovranno stabilire gli Stati membri entro 18 mesi dall’entrata in vigore della direttiva. Al di fuori di queste zone, la procedura non potrà superare i due anni. Quanto al rinnovo degli impianti esistenti, le procedure di autorizzazione non possono durare più di 6 mesi (per le turbine eoliche offshore, non più di 1 anno).
“Questa direttiva dimostra che Bruxelles può essere poco burocratica e molto pragmatica”, ha sintetizzato in una nota il relatore per il Parlamento, l’eurodeputato tedesco del Ppe, Markus Pieper, il quale ricorda che tra le altre cose nella revisione sono state designate le energie rinnovabili “come interesse pubblico prevalente”, quindi l’iter di approvazione di alcuni dei progetti sarà più snella. “L’attenzione è rivolta all’energia eolica, fotovoltaica, idroelettrica, geotermica e alle correnti di marea. La biomassa da legno rimarrà classificata come energia rinnovabile”, ha dichiarato. Ora per approvare definitivamente l’accordo è necessario l’ultimo via libera al Consiglio Ue, prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Ue.
Un negoziato complesso
Anche in fase di negoziato, Stati e Parlamento Ue hanno raggiunto a fatica un accordo, divisi proprio sul riconoscimento dell’idrogeno prodotto da energia nucleare su spinta francese. Gli Stati membri proponevano di alzare il target al 40 per cento mentre l’Europarlamento (come la Commissione) voleva portarlo al 45 per cento. Alla fine, dopo sette round negoziali, i co-legislatori hanno raggiunto un accordo per una via di mezzo, ovvero l’aumento della quota di energie rinnovabili nel consumo finale di energia dell’Ue al 42,5 per cento entro il 2030, con l’idea di ‘impegnarsi’ a raggiungere il 45 per cento (con un ulteriore aumento indicativo del 2,5 per cento che però non è vincolante). Nel 2021, la quota di energia da fonti rinnovabili nell’Ue era pari al 22 per cento, ma con un divario significativo tra i Paesi.
Ciascuno Stato membro deve contribuire all’obiettivo comune, mentre nella direttiva sono stati concordati obiettivi settoriali più ambiziosi nei settori dei trasporti, dell’industria, degli edifici e del teleriscaldamento e teleraffrescamento per accelerare l’impiego delle energie rinnovabili in questi settori. Il nodo principale dei negoziati riguardava il settore dell’industria, dove la Francia ha spinto per l’inclusione del nucleare. Le industrie, secondo l’accordo, dovrebbero aumentare l’uso di energie rinnovabili dell‘1,6 per cento all’anno, con una quota del 42 per cento dell’idrogeno che utilizza proveniente da fonti rinnovabili di origine non biologica (RFNBO) entro il 2030 e il 60 per cento entro il 2035. Combustibili rinnovabili di origine non biologica sono principalmente idrogeno rinnovabile (prodotto attraverso elettrolisi dell’acqua) e combustibili sintetici a base di idrogeno.
L’intesa prevede che gli Stati membri possano approfittare di uno ‘sconto’ del 20 per cento sul contributo dell’idrogeno rinnovabile nel settore industriale attraverso l’idrogeno prodotto dall’energia nucleare. Lo sconto è possibile quando il contributo nazionale raggiunge il contributo vincolante per l’Ue (ovvero la quota del 42,2 per cento) e quando la quota di idrogeno da combustibili fossili consumata nello Stato membro è inferiore al 23 per cento nel 2030 e al 20 nel 2035. Anche dopo l’accordo con l’Eurocamera, Parigi ha continuato a fare pressione per un ulteriore riconoscimento dell’energia dell’atomo, minacciando di bloccare il via libera al Consiglio. La Francia ha quindi ottenuto in cambio dell’assenso, l’inclusione nel testo di compromesso di un considerando (22ab) in cui si legge la necessità di riconoscere che “alcuni impianti integrati di produzione di ammoniaca esistenti potrebbero trovarsi di fronte a sfide specifiche poste dalla sostituzione dell’idrogeno” e dunque la “necessaria ricostruzione di tali impianti richiederà importanti sforzi da parte degli Stati membri, a seconda delle specifiche circostanze nazionali e della struttura dell’approvvigionamento energetico” .