Bruxelles – Alla vaghezza del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, i sei leader balcanici rispondono con il massimo della chiarezza possibile, senza abbandonare quel filo di ambiguità che permette di mantenere buoni rapporti con Bruxelles: “Sia l’Ue sia i Balcani Occidentali dovrebbero essere pronti all’allargamento, il prima possibile, ma non oltre il 2030“. Anche nella dichiarazione finale dell’ultima riunione del Processo di Brdo rimane quel non meglio precisato “essere pronti” all’allargamento Ue – così come era stato nelle parole del leader dell’istituzione comunitaria al Bled Strategic Forum di fine agosto – ma la data temporale non ammette eccezioni per l’obiettivo di fine decennio.
Riunitisi ieri (11 settembre) a Skopje, in Macedonia del Nord, per l’incontro di alto livello dell’iniziativa nata nel 2010 per la collaborazione tra i Paesi dei Balcani Occidentali – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – nel percorso di avvicinamento all’Unione Europea, i sei presidenti hanno dato priorità a tre macro-tematiche: accelerazione del processo di adesione Ue, lotta ai cambiamenti climatici e cercare un freno all’emigrazione giovanile dalla regione. La parte del leone la fa senz’ombra di dubbio il processo “più diretto al mantenimento della pace e della stabilità e più che mai questione geopolitica”. Ecco perché il punto di partenza è quella data – il 2030 – menzionata dal presidente del Consiglio Ue, ma che già aveva creato notevoli controversie al vertice Ue-Balcani Occidentali del 2021 (proprio a Brdo, in Slovenia). Agli occhi dei leader balcanici non può essere superata come termine ultimo, anche alla luce delle “ricadute” della “continua aggressione russa contro l’Ucraina”. Da parte delle sei capitali viene riconosciuto il fatto che “riforme politiche, economiche e sociali di ampio respiro sono fondamentali per l’adesione all’Ue” e la promessa è quella di un impegno per “intensificare gli sforzi per l’attuazione” nel campo dello Stato di diritto, del funzionamento delle istituzioni democratiche e della pubblica amministrazione.
Non passa inosservato il riferimento alla “cooperazione regionale e le relazioni di buon vicinato”, definite “essenziali” perché i singoli Paesi possano avanzare nei rispettivi percorsi verso l’Unione. Un dettaglio da tenere a mente in vista del nuovo round di colloqui di alto livello del dialogo Pristina-Belgrado mediato dall’Ue, annunciato oggi (12 settembre) dal Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), e che vedrà la presenza del presidente serbo, Aleksandar Vučić, e del premier kosovaro, Albin Kurti, a quasi tre mesi dall’ultima riunione molto delicata. “Ci impegniamo a collaborare per promuovere un’atmosfera di fiducia reciproca, di comprensione, di risoluzione pacifica e duratura delle restanti questioni bilaterali e di solidarietà reciproca”, si legge nel testo della dichiarazione del Processo di Brdo. Altro aspetto di particolare interesse è il richiamo alle suggestioni di Michel su una possibile “apertura di percorsi che consentano ai Balcani Occidentali di esplorare le opportunità di accesso a politiche, iniziative e fondi specifici dell’Ue e di portare alcuni dei benefici ai cittadini” anche “prima dell’adesione formale”.
Trova spazio nella dichiarazione la questione della lotta agli effetti del cambiamento climatico, considerata una “responsabilità condivisa, che richiede sforzi collaborativi” tra governi, privati e partner internazionali, “coordinati con l’Ue e i suoi programmi correlati”. In questo capitolo rientrano la transizione verde, la protezione della biodiversità, il “rafforzamento della diversificazione energetica” e la “transizione verso la produzione di energia rinnovabile e l’efficienza”, anche attraverso “investimenti ecocompatibili in fonti idroelettriche, solari, eoliche e geotermiche“. Di nuovo ritorna il rapporto con Bruxelles, in particolare per quanto riguarda il pacchetto di sostegno energetico di un miliardo di euro “con cui l’Ue ha esteso le stesse misure di solidarietà adottate all’interno” dell’Unione dopo l’aggressione russa all’Ucraina.
E infine uno dei temi più urgenti e drammatici per i Balcani Occidentali: l’emigrazione diventata ormai quasi di massa tra le fasce più giovani della popolazione. “Ha implicazioni significative per la vitalità a lungo termine delle nostre società, per la crescita economica sostenibile e per il progresso sociale”, è l’allarme lanciato dai sei presidenti, che cercano un modo per “trattenere i giovani” all’interno della regione e “sfruttare il potenziale per far progredire le nostre società”. Con l’Ue è “fondamentale” un partenariato “per garantire il successo dell’attuazione delle strategie” che si basano sulla promozione di “società inclusive e aperte”. Tutto parte da una “istruzione di qualità”, motivo per cui dovrà essere impostato un lavoro per “migliorare i sistemi educativi”, ma anche per “creare un ambiente commerciale attraente e competitivo che incoraggi l’innovazione, l’imprenditorialità e la creazione di posti di lavoro” per i giovani con idee che possano trasformare i Balcani Occidentali. Che – proprio come in Italia e in altri Paesi membri Ue più in difficoltà su questo fronte – vogliono “fermare la fuga dei cervelli” e fornire “migliori prospettive” a lungo termine.
A che punto è l’allargamento Ue nei Balcani Occidentali
Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e uno ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo.
Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.