In Italia ferve il dibattito sulla prossima manovra finanziaria, con la quale il governo dovrà decidere come e quanto spendere durante il prossimo anno. Dovranno anche arrivare indicazioni ed impegni precisi (in parte già annunciati) sul contenimento di debito e deficit. Tutto questo nel quadro “di emergenza” che ha visto un allentamento delle regole europee a partire dal 2020, per far fronte alla crisi determinata dalla pandemia da Covid. Negli ultimi mesi in Italia, il debito pubblico ha avuto un’espansione che lo ha portato a battere record su record per il valore assoluto (siamo sui 2.850 miliardi) oltre il 140 per cento del Pil, un livello non tollerabile secondo molti, visto lo stato generale della nostra economia, e comunque ben oltre il 60 per cento in rapporto al Pil che prevedono le regole del patto di Stabilità e Crescita, ora sospeso. L’11 settembre la Commissione europea presenterà le sue previsioni economiche, che daranno qualche informazione in più.
Nel frattempo a Bruxelles i ministri dell’Economia stanno discutendo la proposta della Commissione europea di revisione del Patto, tesa a farne uno strumento più flessibile, che tenga conto in sostanza delle condizioni di ogni singolo Paese quando se ne valutano le politiche economiche. I limiti del 3 per cento di deficit e del 60 per cento nel rapporto tra debito e Pil non possono essere toccati, perché questo richiederebbe una modifica dei Trattiti europei, un percorso lungo ed accidentato, che sarebbe altamente divisivo e potrebbe richiedere anni, se mai avesse successo. E’ però possibile discutere su come raggiungere gli obiettivi, sul se “multare” gli Stati che non fanno il loro dovere non rispettando gli impegni (ammende che però non sono mai state pagate) o se analizzare caso per caso quale sia la strada percorribile.
In questo dibattito l’Italia è chiaramente tra i protagonisti, essendo uno dei grandi Paesi dell’Unione, una delle sue economie più importanti, essendo un Paese fondatore ed essendo però anche quello con il debito pubblico più preoccupante proprio per la posizione che ha nell’Ue e per la dimensione dei suoi debiti.
Fino ad oggi il governo di Giorgia Meloni ha lavorato per avere un rapporto costruttivo con l’Unione su questi punti, evitando annunci o politiche che potessero preoccupare i partner. A parte la sempre viva questione dei balneari, uno scivolone in verità lo ha preso rifiutandosi di ratificare la riforma del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, oramai approvato da tutti gli altri membri del sistema di protezione. La sensazione, in verità annunciata anche da qualche politico italiano, che si voglia usare la ratifica (senza la quale le nuove regole non potranno entrare in funzione per nessuno) che oggetto di scambio per ottenere un nuovo Patto di stabilità più vicino ai desiderata di Roma è forte tra i partner europei. Ed è particolarmente sgradita: il ricatto non è un’arma che può essere usata con successo.
Per il governo la situazione delle finanze pubbliche è però un gran problema, perché soldi ce ne sono pochi, ed è difficile trovare le risorse per avviare le politiche promesse in campagna elettorale. Dunque avere qualche flessibilità in più, magari sugli aiuti di Stato o su aree di investimenti esentate dalle regole sul debito sarebbe davvero utile. Forse drammaticamente necessario.
Sul fronte europeo il tema è come affrontare la questione e quali risultati attendersi. E c’è una regola, non scritta ma chiara a tutti: non si può andare da soli. Inoltre, ovviamente, non si può sperare di ottenere tutto ciò che si desidera. Pena, restare con il cerino in mano, fare un pessimo negoziato come fu quello sulle auto elettriche nel quale le posizioni di principio fecero premio su quanto era negoziabile, lasciando in sostanza l’Italia da sola a subire una regola sgradita.
Dunque qui è la prova di responsabilità che deve affrontare i governo: nel trovarsi degli alleati credibili puntando ad obiettivi realizzabili. Il che vuol dire, in sostanza, avvicinarsi a Francia e Spagna, Paesi forti e influenti, che nel negoziato sulla riforma del Patto (che tutti si augurano giunga ad un termine entro quest’anno, per fare in modo che le regole valgano dai bilanci per il 2025) sono su posizioni più vicine all’Italia di quanto lo sia la Germania, che con la Francia su questo tema ha in corso uno scontro forte, o altri Paesi che in Italia normalmente chiamiamo “falchi”. In sostanza i due fronti si distinguono, a grandi linee, per posizione geografica: Nord e Sud Europa, con i rigoristi che chiedono regole certe e quantificate di riduzione del debito con anche possibilmente sanzioni per chi le viola, e gli altri che chiedono più flessibilità per gli investimenti che si ritengono necessari all’espansione dell’economia.
Il premier spagnolo Sanchez (che, a quanto sembra, resterà a suo posto anche se ad interim sino alla fine dell’anno) e il presidente francese Macron non sono tra i migliori amici dell’attuale governo italiano; alcuni degli obiettivi che l’Italia si è posta in questo negoziato non sono raggiungibili, neanche con la più aperta interpretazione delle flessibilità offerte dalla proposta della Commissione: ma qui si giocherà la dimensione di statista di Meloni, nella sua capacità di cogliere le migliori opportunità per non restare al margine, con il cerino in mano, ed alla fine costretta ad accettare decisioni di altri. Contro le quali si potrà poi certo inveire per anni, ma che probabilmente non gioveranno al Paese.