Bruxelles – Si concluderà domani (24 agosto) la tre giorni dei Brics a Johannesburg, in Sud Africa. I riflettori mondiali sono puntati sul quindicesimo vertice tra i Paesi che ne formano l’acronimo – Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa-, che dopo anni di riunioni a basso profilo sembrano voler tornare con determinazione alla ribalta dell’ordine geopolitico internazionale.
Un ordine rimesso in discussione dal grande assente al vertice, Vladimir Putin (su cui pende un mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale), rappresentato dal ministro degli Esteri Sergej Lavrov. Il leader russo, rimasto isolato dopo la scellerata invasione dell’Ucraina, ha giocato le sue carte in video collegamento da Mosca: prima scagliandosi contro l’Occidente, che insieme ai suoi “satelliti in Ucraina” avrebbe “scatenato la guerra contro le persone che vivono nel Donbass“, poi spronando gli altri 4 Paesi a “cooperare in organismi internazionali come le Nazioni Unite”, dove Mosca è un membro permanente del Consiglio di sicurezza, e ad aprirsi ad un allargamento dei Brics capace di scardinare il potere occidentale e, in ultima istanza, degli Stati Uniti.
Ora Brics, “al più presto” nuove lettere
L’aggiunta di nuove lettere all’acronimo che dal 2009 indica le 5 maggiori economie in via di sviluppo è un’iniziativa particolarmente sostenuta da Pechino, che al pari di Mosca vorrebbe fare del gruppo uno strumento di contrasto all’egemonia del G7 e dell’Occidente. Attualmente i Brics producono il 26 per cento del Pil mondiale, contro il 43 per cento generato dai Paesi del G7 (nel 2001 era l’8 per cento contro il 65 per cento). Un trend nettamente a favore dei Paesi emergenti, spinti dal gigante asiatico che produce il 70 per cento del Pil dei 5 Paesi.
Nel suo intervento al vertice, il presidente cinese Xi Jinping ha sottolineato “il crescente entusiasmo tra i Paesi in via di sviluppo per far parte dei Brics”: sarebbero già 23 i governi che hanno bussato alla porta della “famiglia”, tra cui i maggiori candidati all’ingresso potrebbero essere Argentina, Iran, Indonesia, Arabia Saudita e Emirati Arabi. Secondo Xi è urgente “accelerare il piano di allargamento” per rendere “più equa la governance globale“.
In un attacco piuttosto esplicito a Washington, il segretario del Partito Comunista Cinese ha dichiarato che “chi ha i muscoli più forti o la voce più alta non dovrebbe avere l’ultima parola”, ma che “le regole internazionali dovrebbero essere scritte e rispettate da tutti, in conformità con gli scopi e i principi della carta delle Nazioni Unite”. La strategia di Pechino è fare sì che i Paesi Brics riescano a “scegliere in modo indipendente il percorso di sviluppo” e a “muoversi insieme verso la modernizzazione, che rappresenta la direzione della società umana”. Una direzione minacciata dalla “mentalità della Guerra fredda che sta ancora perseguitando il mondo”.
Se il primo ministro indiano, Narendra Modi, “sostiene l’espansione dell’adesione ai Brics”, ad avere qualche perplessità sono il Sud Africa e in maniera più incisiva il Brasile, che condividono il timore di perdere influenza e prestigio nell’ampliamento dell’esclusivo club a 5. Ma tutti quanti, a detta del presidente del Sud Africa e padrone di casa, Cyril Ramaphosa, sono d’accordo che “solo attraverso l’allargamento saremo in grado di avere Brics più forti in questi tempi turbolenti”.
Una valuta comune come spinta alla de-dollarizzazione
Nel suo intervento, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, ha invece rilanciato proponendo la creazione di una valuta comune per lottare contro le ingiustizie del sistema finanziario internazionale. “La creazione di una moneta per le transazioni commerciali e di investimento tra i membri del Brics aumenta le nostre opzioni di pagamento e riduce le nostre vulnerabilità”, ha affermato Lula, secondo cui “l’indebitamento limita lo sviluppo sostenibile, è inammissibile che i Paesi in via di sviluppo siano penalizzati con tassi di interesse fino a otto volte superiori a quelli praticati ai ricchi“. Anche Putin, aizzando gli altri leader “contro l’egemonia e le politiche neocolonialiste” dell’Occidente, ha insistito sul percorso di “de-dollarizzazione” degli scambi commerciali tra i Brics, che nel corso del 2022 avrebbero utilizzato la moneta a stelle e strisce soltanto nel 28,7 per cento del totale degli scambi.
Sull’Ucraina il leader socialista ha ribadito “la posizione importante del Brasile sulla sovranità dei Paesi” e ha dichiarato di essere pronto a “unire gli sforzi che possano effettivamente contribuire ad un cessate il fuoco immediato e ad una pace giusta e duratura“. Anche perché il conflitto in Ucraina “sta avendo effetti globali”, soprattutto tra i Paesi “più vulnerabili”. Una frecciata diretta anche a Putin e allo stop all’accordo sul grano, bloccato nei porti ucraini sul Mar Nero. Il presidente russo si è detto pronto a ritornare sui suoi passi, a condizione però che vengano rispettate le condizioni a favore di Mosca. Nel tentativo di ribaltare le responsabilità e continuare a presentarsi come alternativa al neocolonialismo dell’Occidente, Putin ha anche annunciato che fornirà gratuitamente migliaia di tonnellate di cereali ad alcuni Paesi africani che soffrono gravemente il blocco alle esportazioni dall’Ucraina.