Bruxelles – Non ci sono sole le più recenti vicende interne, come il mancato dialogo sulla tassa sugli extraprofitti delle banche, a dividere i tre inquilini della coalizione di governo in Italia. Dopo l’intervista rilasciata il 14 agosto dalla premier Giorgia Meloni a tre testate nazionali, si accende la bagarre anche sul fronte esterno: sulle possibili alleanze che la destra europea potrebbe costruire in vista delle elezioni di giugno 2024, Meloni, Salvini e Tajani sembrano più distanti che mai.
I due vice presidenti del Consiglio hanno risposto immediatamente alle dichiarazioni della prima ministra, che non “metterà veti su nessuno” e non ha quindi escluso a priori la possibilità di costruire un’intesa con partiti come il Rassemblement National di Marine Le Pen e l’Afd tedesca. Partiti estremisti e esplicitamente anti-europeisti, che fanno parte del gruppo Identità e Democrazia (Id) al Parlamento europeo, lo stesso in cui rientra la Lega. Il leader del Carroccio è andato subito all’attacco: Chi non vuole un accordo con Le Pen, preferisce governare con i socialisti, preferisce Macron“, ha incalzato Salvini.
Provocazione raccolta dall’azzurro Antonio Tajani, che sposa una terza posizione, la più marcatamente europeista. Per l’ex presidente dell’Eurocamera e membro di lunga data del Partito Popolare europeo (Ppe) “non è questione di veti, ma di realtà. Noi del Ppe non potremo mai accettare un’intesa con partiti antieuropeisti come quello di Le Pen o Afd”. E a Salvini risponde: “Se preferisco Macron? Per la visione dell’Europa certamente si”.
Il neo leader di Forza Italia mantiene la barra al centro e cerca di placare il fervore politico dei due colleghi meno esperti. “Bisogna conoscere bene la politica europea per parlarne: il Ppe non accetterebbe mai un accordo di questo tipo, in Europa non valgono le logiche italiane, non siamo io Meloni e Salvini a decidere”, ha dichiarato Tajani. Secondo il ministro degli Esteri è difficile immaginare una “maggioranza che non sia composta da popolari, conservatori, liberali e magari socialisti in posizione defilata”.
Una maggioranza che escluderebbe il gruppo di cui fa parte la Lega. Sull’alleato di governo leghista, Tajani si toglie anche un bel sassolino dalla scarpa: “Anche io, che quando divenni presidente del Parlamento europeo sconfissi i socialisti, non venni votato da Salvini“. Coinquilini a Roma, nelle roccaforti dei propri gruppi politici a Bruxelles. Gruppi che hanno una loro “identità e autonomia”, ha ammesso lo stesso Tajani.