Bruxelles – Una mossa in stile Viktor Orbán. Istigare gli elettori a esprimersi contro le politiche comunitarie attraverso un referendum organizzato in occasione delle elezioni nazionali, sfruttando una fake news ritagliata su misura. Se per l’Ungheria nel 2022 era accaduto con i diritti della comunità Lgbtqi+, quest’anno potrebbe accadere lo stesso in Polonia con il futuro sistema Ue per la gestione delle persone migranti in arrivo nell’Unione, il Patto migrazione e asilo.
“Siete favorevoli all’ammissione di migliaia di immigrati clandestini dal Medio Oriente e dall’Africa nell’ambito del meccanismo di ricollocazione forzata imposto dalla burocrazia europea?” È questo il quesito proposto dal primo ministro della Polonia, Mateusz Morawiecki, per il possibile referendum popolare da sottoporre agli elettori il 15 ottobre, in concomitanza con le elezioni per il rinnovo del Parlamento nazionale. La fake news è chiara: non esiste alcun “meccanismo di ricollocazione forzata” nei negoziati in corso tra il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Ue, nemmeno nella posizione negoziale concordata dai Ventisette durante la riunione ministeriale dello scorso 8 giugno sul Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione (Ramm) e il Regolamento modificato sulle procedure di asilo (Apr). Sul tavolo dei negoziati inter-istituzionali c’è solo la solidarietà obbligatoria (che prevede la scelta tra l’accoglienza di una quota di persone migranti o un contributo finanziario), eppure lo spauracchio di un meccanismo di redistribuzione obbligatoria è vitale per Morawiecki come strumento di propaganda elettorale.
Nonostante la Polonia abbia mostrato particolare solidarietà ai rifugiati fuggiti dall’Ucraina dopo l’inizio dell’invasione russa lo scorso anno, il partito al governo Diritto e Giustizia (PiS) di Morawiecki ha continuato ad accentuare la sua posizione restrittiva nei confronti delle persone migranti in arrivo da altri Paesi nel resto del mondo e in vista delle elezioni del 15 ottobre ne sta facendo una leva propagandistica. Nello specifico, la dura opposizione ai negoziati in corso sul Patto migrazione e asilo è legata al contrasto con il principale sfidante politico a Varsavia: Donald Tusk, leader della coalizione di centro-destra Piattaforma Civica dal forte background europeista, in qualità di ex-presidente del Partito Popolare Europeo ed ex-presidente del Consiglio Ue tra il 2014 e il 2019. Scendendo in campo nel luglio del 2021, lo stesso Tusk aveva affermato di essere tornato alla politica nazionale perché “quando vedi il demone, lo combatti” e oggi i sondaggi lo danno a pochi punti percentuali dal PiS. A questo si aggiunge il fatto che per il premier polacco la decisione di unire referendum sulla migrazione e voto per il rinnovo del Parlamento potrebbe essere un autogol, come ha dimostrato proprio l’Ungheria l’anno scorso: se per Orbán è arrivata l’ennesima riconferma a leader del Paese, il suo referendum anti-Lgbtqi+ è stato sonoramente bocciato dagli elettori ungheresi.
La Polonia contro la solidarietà Ue
L’asse Ungheria-Polonia contro i tentativi di Bruxelles di trovare una quadra su un sistema comune per la gestione della migrazione è diventato ancora più saldo negli ultimi mesi. I ministri di Budapest e Varsavia sono stati gli unici a votare contro il compromesso sui due file del Patto migrazione e asilo al decisivo Consiglio Affari Interni di giugno. Un accordo in cui il voto favorevole dell’Italia è stato invece decisivo per il via libera, arrivato dopo un lungo braccio di ferro con la presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue per evitare un fallimento dei negoziati. Anche se per l’Italia sono molti i punti che rendono difficilmente digeribile l’accordo, il governo Meloni ha comunque deciso di rompere il fronte dei contrari – e degli alleati più stretti – pur di rivendicare un successo in patria nel trovare una soluzione europea alla questione migratoria. Al contrario, Varsavia e Budapest non vogliono superare il meccanismo di Dublino – secondo cui la richiesta di asilo di una persona che fa ingresso in modo irregolare sul territorio comunitario deve essere esaminata dal primo Stato membro Ue a cui accede – né tantomeno accettare ricollocamenti o versare contributi finanziari.
L’imbarazzo per i contrasti tra il governo Meloni e i due partner più affini è emerso in tutta la sua evidenza al Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando Orbán e Morawiecki hanno fatto muro sul capitolo migrazione delle conclusioni del vertice dei leader Ue su una serie di rivendicazioni e opposizioni non fondate in alcun modo sui punti negoziali dell’accorso dell’8 giugno, per ragioni puramente propagandistiche ed elettorali. A nulla è servito il tentativo di mediazione della premier italiana, Giorgia Meloni, uscita a mani vuote dal colloquio a tre per provare a salvare due punti delle conclusioni che a ben vedere non erano nemmeno troppo controversi. Per questa ragione il capitolo migrazione è stato depennato e sostituito con delle conclusioni della presidenza del Consiglio – supportate da 25 Paesi membri su 27 – in cui comunque è rimasta sul tavolo solo la questione della dimensione esterna: l’interesse dei Ventisette a livello politico si concentra sul rafforzamento delle frontiere esterne e sulla prevenzione delle partenze e degli arrivi, anziché ragionare su un migliore coordinamento sull’accoglienza e sulla ricerca e soccorso in mare. Per Polonia e Ungheria questo comunque non è abbastanza e l’obiettivo è frenare qualsiasi sforzo rimasto a livello comunitario di trovare una soluzione comune sulla dimensione interna (accoglienza, ricollocamenti, procedure di asilo e tutto ciò che succede sul territorio Ue).
Il processo negoziale del Patto migrazione e asilo
Il Patto migrazione e asilo è stato presentato dalla Commissione Europea il 23 settembre 2020 ma, di fronte alle difficoltà del processo negoziale, nel settembre dello scorso anno i co-legislatori hanno concordato una tabella di marcia per adottare nove file entro la fine della legislatura (nella primavera del 2024). In fase di negoziati inter-istituzionali ci sono già quattro file: quello sul Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione (dal 13 giugno), sul Regolamento sullo screening (25 aprile), sul Regolamento modificato sulle procedure di asilo (iniziati il 18 aprile a livello di principi generali e ripresi il 13 giugno) e sul Regolamento Eurodac modificato (dal 15 dicembre). Sempre il 15 dicembre è stato raggiunto un accordo politico su tre dossier (ereditati dai negoziati sulle proposte della Commissione del 2016): la Direttiva sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, il Regolamento sul nuovo quadro di reinsediamento e il Regolamento sulle qualifiche.
Dei nove file del Patto migrazione e asilo secondo la tabella di marcia di settembre 2022 al Consiglio manca ora all’appello il Regolamento per le crisi e le cause di forza maggiore (gli eurodeputati hanno adottato la propria posizione lo scorso 20 aprile), mentre il Parlamento Europeo non ha ancora trovato un’intesa sulla Direttiva sui rimpatri (i 27 ministri partono invece dalla posizione parziale negoziata nel giugno 2019).
Al di fuori dei nove dossier previsti dalla tabella di marcia per adottare il Patto migrazione e asilo entro la fine della legislatura (nella primavera 2024) ci sono altre cinque dossier, di cui solo due sono stati adottati: la Direttiva Blue Card nel maggio 2021 e la trasformazione dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) nell’Agenzia europea per l’asilo (Euaa), da gennaio dello scorso anno. I mandati negoziali del Parlamento Ue sulla Direttiva modificata sui soggiorni di lungo termine e quello sulla Direttiva modificata sulla procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico di soggiorno e lavoro devono invece essere ancora adottati dal Consiglio dell’Ue. Nessuno dei due co-legislatori è invece avanzato sul Regolamento sulla strumentalizzazione nel campo della migrazione e dell’asilo, con l’impasse in Consiglio sulla possibile unificazione con il Regolamento per le crisi e le cause di forza maggiore che si è ripresentata anche alla riunione degli ambasciatori dei Ventisette dello scorso 26 luglio.