Bruxelles – Quando sono passate due settimane dal colpo di Stato in Niger, cresce la preoccupazione delle istituzioni comunitarie per le condizioni di detenzione dell’ormai ex-presidente del Paese, Mohamed Bazoum, e della sua famiglia, tenuti ostaggi dei golpisti e sottoposti a un trattamento durissimo. “Secondo le ultime informazioni sono stati privati di cibo, cure mediche ed elettricità per diversi giorni“, è l’allarme sollevato oggi (11 agosto) dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che continua a esigere dalla giunta militare nigerina il loro “rilascio immediato e incondizionato”.
Per Bruxelles c’è ancora spazio di mediazione dopo il golpe militare dello scorso 26 luglio, ma la liberazione del presidente Bazoum – democraticamente eletto due anni fa – è la conditio sine qua non: “Ha dedicato la sua esistenza a migliorare la vita quotidiana del popolo nigerino, non c’è alcuna giustificazione per un simile trattamento“, è la netta condanna dell’alto rappresentante Borrell. A dimostrare che per l’Ue non è ancora arrivato il momento di gettare la spugna è la decisione di non procedere all’evacuazione totale della presenza diplomatica comunitaria. Come reso noto a Eunews da fonti interne alla Commissione, la situazione viene monitorata “minuto per minuto” ma la presenza nel Paese dell’Africa occidentale “rimarrà”, sia con la delegazione Ue sia con la missione civile Eucap Sahel Niger. Oltre a permettere “su base volontaria” di lasciare la capitale Niamey al personale diplomatico e a sospendere la cooperazione in materia di sicurezza di Eucap Sahel Niger, non sono previste ulteriori misure di emergenza, anche se la situazione è molto fluida e potrebbe cambiare nel giro di ore o giorni.
Perché è sempre più evidente il contrasto tra il Niamey e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), l’accordo economico e di sicurezza regionale siglato da 16 Paesi (Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone e Togo). Dopo l’ultimatum scaduto domenica (6 agosto) rivolto ai golpisti a Niamey – che minacciava l’uso della forza se Bazoum non fosse stato liberato e reinsediato come presidente – alla sessione di emergenza tenutasi ieri (10 agosto) è stata decisa la “mobilitazione immediata delle forze di emergenza” per “ripristinare l’ordine costituzionale nella Repubblica del Niger”. Non si tratta di un intervento militare immediato, nonostante le inclinazioni più interventiste dell’attuale presidente del blocco e leader della Nigeria, Bola Tinubu: “Diamo la priorità alle negoziazioni diplomatiche e al dialogo, ma non c’è nessuna opzione che scartiamo, compreso l’uso della forza”. Il tutto sembra lasciare spazio a ulteriori tentativi di negoziati, sia per i tempi che richiede una mobilitazione di forze di emergenza (diverse settimane) sia per il rischio insito in una soluzione armata: in caso di un attacco da parte dell’Ecowas a Niamey non è da escludere che i golpisti decidano di vendicarsi uccidendo il presidente deposto.
Cosa sta succedendo in Niger
Lo scorso 26 luglio la Guardia presidenziale del Niger ha circondato il palazzo presidenziale e gli edifici di diversi ministeri a Niamey, arrestando il presidente Bazoum (in carica dal 2021), la sua famiglia e i membri dell’entourage. Lo stesso capo di quello che poi si è ribattezzato Consiglio nazionale per la salvaguardia del Paese (Cnsp), Abdourahmane Tchiani, si è autoproclamato nuovo leader del Paese: i golpisti hanno ordinato la sospensione di tutte le istituzioni, la chiusura delle frontiere aeree e terrestri e il coprifuoco notturno. Anche l’esercito del Niger – addestrato dall’Ue attraverso il partenariato militare Eumpm Niger per la lotta al terrorismo – si è unito alla Guardia Presidenziale per “preservare l’unità” nazionale. Con un decreto annunciato nella tarda serata lunedì (7 agosto) la giunta ha nominato l’ex-ministro delle Finanze, Ali Mahamane Lamine Zeine, come primo ministro di transizione, mentre ieri (10 agosto) la giunta militare ha formato un governo composto da 21 ministri.
In meno di due anni si sono susseguiti diversi colpi di Stato nei Paesi dell’Africa occidentali – in Mali, Guinea e Burkina Faso – le cui rispettive giunte militari oggi al potere hanno minacciato di difendere i golpisti in Niger in caso di un attacco armato da parte delll’Ecowas (che al momento ha imposto sanzioni economiche e chiuso le frontiere con il Niger, mentre la Nigeria ha tagliato le forniture di elettricità al Paese confinante a nord). Per l’Unione Europea Niamey era considerato un alleato-chiave soprattutto per la lotta contro il terrorismo di matrice islamista e in ottica di partenariato sulla migrazione. “La nostra partnership con il Niger è solida e non smette di rinforzarsi in tutti i settori: sicurezza, sviluppo, educazione, transizione energetica”, aveva dichiarato il 5 luglio scorso l’alto rappresentante Borrell dopo un incontro con Bazoum a Niamey. Dal 26 luglio tutti i fondi comunitari per la cooperazione con Niamey sono stati sospesi, compresi quelli mobilitati attraverso l’European Peace Facility per “rafforzare le capacità militari delle forze armate nigerine al fine di difendere l’integrità territoriale e la sovranità del Niger”.