Bruxelles – Questa volta l’Unione Europea rimane sul campo. Dopo il colpo di Stato in Niger, a Bruxelles la parola d’ordine è “monitorare la situazione minuto per minuto”, ma la presenza nel Paese dell’Africa occidentale “rimarrà”. Lo confermano fonti interne alla Commissione Ue, delineando chiaramente la differenza con quanto visto pochi mesi fa allo scoppio della guerra civile in Sudan, quando tutta la delegazione Ue a Khartum – compreso l’ambasciatore – è stata evacuata e la capitale del Paese in guerra è rimasta sguarnita della presenza diplomatica comunitaria. Dopo una settimana di riflessioni al Berlaymont, il gabinetto von der Leyen ha deciso di seguire in Niger la linea della ‘non-evacuazione’ totale, sciogliendo la riserva sulla possibilità di cambiare rotta rispetto a quanto fatto nei primissimi giorni dopo il golpe militare a Niamey.
“La sicurezza del nostro personale è la nostra massima priorità e stiamo naturalmente prendendo tutte le misure necessarie per garantirla“, confermano le fonti parlando della situazione particolarmente tesa nella capitale Niamey dopo il colpo di Stato dello scorso 26 luglio e l’arresto del presidente democraticamente eletto, Mohamed Bazoum. Nonostante sia stata scelta la linea del garantire la presenza dell’Unione a Niamey – sia con la delegazione Ue sia con la missione civile Eucap Sahel Niger – Bruxelles non ha voluto forzare la mano e nel corso dell’ultima settimana ha offerto al personale diplomatico la possibilità di lasciare Niamey “su base volontaria”, seguendo i cittadini europei evacuati attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue. Come sottolineano al Berlaymont, “l’operazione è stata un successo, tutti coloro che volevano andarsene lo hanno fatto senza problemi”. Nel ricordare che la presenza Ue”rimarrà” nel Paese africano senza ulteriori misure di emergenza da prendere nell’immediato futuro, le fonti precisano che Eucap Sahel Niger “ha sospeso la cooperazione in materia di sicurezza”, sia come attività di formazione sia per la consulenza.
Cosa sta succedendo in Niger
Lo scorso 26 luglio la Guardia presidenziale del Niger ha circondato il palazzo presidenziale e gli edifici di diversi ministeri a Niamey, arrestando il presidente Bazoum (in carica dal 2021), la sua famiglia e i membri dell’entourage. Lo stesso capo di quello che poi si è ribattezzato Consiglio nazionale per la salvaguardia del Paese (Cnsp), Abdourahmane Tchiani, si è autoproclamato nuovo leader del Paese: i golpisti hanno ordinato la sospensione di tutte le istituzioni, la chiusura delle frontiere aeree e terrestri e il coprifuoco notturno. Anche l’esercito del Niger – addestrato dall’Ue attraverso il partenariato militare Eumpm Niger per la lotta al terrorismo – si è unito alla Guardia Presidenziale per “preservare l’unità” nazionale. Con un decreto annunciato nella tarda serata di ieri (7 agosto) la giunta ha nominato l’ex-ministro delle Finanze, Ali Mahamane Lamine Zeine, come primo ministro di transizione.
Oltre alle condanne dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, la situazione sta diventando sempre più tesa con la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), l’accordo economico e di sicurezza regionale siglato da 16 Paesi (Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Liberia, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone e Togo). Dopo l’ultimatum scaduto domenica (6 agosto) rivolto ai golpisti in Niger – che minacciava l’uso della forza se Bazoum non fosse stato liberato e reinsediato come presidente – si terrà giovedì (10 agosto) una sessione di emergenza per decidere se l’Ecowas entrerà in guerra con Niamey. L’attuale presidente del blocco e leader della Nigeria, Bola Tinubu, è il più favorevole a un intervento militare, nonostante stia crescendo in patria lo scontento per la sua linea intransigente ma anche per i timori sulla possibile escalation di un conflitto regionale di più vasta portata.
In meno di due anni si sono susseguiti diversi colpi di Stato nei Paesi dell’Africa occidentali – in Mali, Guinea e Burkina Faso – le cui rispettive giunte militari oggi al potere hanno minacciato di difendere i golpisti in Niger in caso di un attacco armato da parte delll’Ecowas (che al momento ha imposto sanzioni economiche e chiuso le frontiere con il Niger, mentre la Nigeria ha tagliato le forniture di elettricità al Paese confinante a nord). Nel frattempo cresce anche la preoccupazione dell’Unione Europea per le sorti dell’ormai ex-presidente Bazoum, alleato-chiave soprattutto per la lotta contro il terrorismo di matrice islamista e in ottica di partenariato sulla migrazione. “La nostra partnership con il Niger è solida e non smette di rinforzarsi in tutti i settori: sicurezza, sviluppo, educazione, transizione energetica”, aveva dichiarato il 5 luglio scorso l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, dopo un incontro con Bazoum a Niamey. Dal 26 luglio tutti i fondi comunitari per la cooperazione con il Niger sono stati sospesi, compresi quelli mobilitati attraverso l’European Peace Facility per “rafforzare le capacità militari delle forze armate nigerine al fine di difendere l’integrità territoriale e la sovranità del Niger”.