Bruxelles – Le nomine Rai diventano un caso. I cambiamenti apportati alla televisione pubblica dall’attuale governo non piacciono in Parlamento europeo e preoccupano la Commissione. L’esecutivo comunitario “è consapevole dei rischi di interferenza politica che incidono sull’indipendenza dei media del servizio pubblico in Italia“, ammette il commissario per il Mercato interno e l’industria, Thierry Breton, chiamato a esprimersi sulla scia di un’interrogazione di 15 europarlamentari.
E’ soprattutto il Pd a essere sul piede di guerra. Si contestano le dimissioni di Carlo Fuortes dal ruolo di amministratore delegato della tv di Stato, per via delle “pressioni politiche sulla sua carica” e le paroledello stesso Fuortes. “Ha dichiarato che la missione della Rai in quanto emittente pubblica potrebbe risultarne compromessa”, si lamenta nell’interrogazione in cui si chiede conto dello stato di salute della libertà dei mezzi di informazione.
Breton risponde su una questione che investe direttamente l’attuale governo Meloni, ma ricorda che il ‘caso Italia’ si pone da prima. C’è “l’esigenza, menzionata nella relazione sullo Stato di diritto 2022 e nell’Osservatorio del pluralismo dei media 2023, di una riforma che permetta alla Rai di resistere meglio ai rischi di influenze politiche e dipendenza finanziaria nei confronti del governo“.
Il modo in cui vengono gestiti informazione e servizio pubblico sono oggetto di preoccupazioni non da oggi. Nella relazione sullo Stato di diritto 2022 citata da Breton, nel capitolo relativo all’Italia, si scrive il pluralismo dei mezzi d’informazione nel Paese è “ad alto rischio, poiché le riforme attuate nel corso degli anni non sono riuscite a proteggere in maniera sostanziale il consiglio di amministrazione dei media del servizio pubblico da influenze politiche e poiché l’entità degli stanziamenti destinati ai media del servizio pubblico è determinata su base annuale dal governo per mezzo della legge di bilancio”.
L’interrogazione parlamentare e risposta di questi giorni non fanno che riaccendere i riflettori su un problema già conclamato. Insorge però la Lega. “Dopo anni di occupazione della tv pubblica da parte della sinistra, l’Ue oggi si preoccupa di possibili ‘rischi di ingerenza’ da parte della politica?”, critica la delegazione del Carroccio in Parlamento europeo. “Dov’erano Breton e l’Ue, fino a oggi?”
Va detto che l’avvento del nuovo governo di centro-destra in Italia è già stato oggetto di rilievi per i modi in cui ha preso in mano comunicazione e gestione dei media. Anche il Consiglio d’Europa di Strasburgo, organizzazione internazionale non-Ue per la promozione e la salvaguardia dei diritti fondamentali, ha sollevato dubbi circa il modo in cui l’Italia di Meloni tratta la stampa, soprattutto quella ‘meno amica’.
La contrapposizione tra ragioni italiane e preoccupazioni internazionali non si limitano dunque alla sola sfera a dodici stelle. Ma a livello comunitario Breton insiste sulla riforma della radio e tv di Stato. “La relazione sullo Stato di diritto del 2023 rileva che non si sono constatati sviluppi per quanto riguarda il quadro normativo che disciplina la governance e i sistemi di finanziamento della RAI-Radiotelevisione Italiana”.