Bruxelles – La Commissione europea è attenta a non pestare i piedi ad Atene sulla caccia ai responsabili del terribile naufragio dello scorso 14 giugno, in cui hanno perso la vita almeno 500 persone migranti. “Dobbiamo fidarci delle indagini degli Stati membri”, ha dichiarato oggi (6 luglio) la commissaria Ue per gli Affari Interni, Ylva Johansson, scegliendo di fatto di rimanere sorda di fronte alle richieste di un’inchiesta internazionale avanzate dall’Eurocamera e dall’Agenzia europea per Diritti Fondamentali (Fra).
Per ora la Procura greca ha puntato il dito solamente contro 9 cittadini egiziani sopravvissuti alla tragedia, già in custodia cautelare con l’accusa di traffico di esseri umani e omicidio colposo. Sull’operato della Guardia Costiera, che secondo le ricostruzioni riportate da diversi media e organizzazioni della società civile avrebbe deliberatamente scelto di non prestare soccorso all’imbarcazione – se non addirittura giocato un ruolo decisivo nel suo ribaltamento-, sarà invece il Tribunale marittimo a condurre le indagini. Lo stesso tribunale incaricato negli anni passati di indagare sui documentati respingimenti messi in atto dalle autorità greche nel mar Egeo, che sono sempre stati archiviati con un nulla di fatto.
Per questo motivo e “in assenza di chiarezza riguardo gli eventi che hanno portato al capovolgimento della barca”, la Commissione Libertà Civili del Parlamento europeo (Libe) ha invitato la Commissione Ue e il governo di Atene a istituire con urgenza “un’indagine internazionale indipendente e trasparente sull’incidente”, suggerendo che venga condotta “da un organismo internazionale consolidato e pertinente, come il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa”. Appello in parte condiviso dall’Agenzia Ue per i Diritti Fondamentali (Fra), che in un rapporto sulla ‘Prevenzione e la risposta alle morti in mare’ sostiene che “stabilire se gli atti e le omissioni delle autorità preposte possano sollevare problemi sotto l’obbligo del diritto alla vita richiede sia competenze avanzate in materia di diritti umani che una significativa esperienza e competenza nella ricerca e salvataggio in mare”. In sostanza, pur riconoscendo la competenza degli Stati membri nel condurre le indagini, l’Agenzia Ue li invita “ad affidarsi all’esperienza di organismi specializzati in materia di diritti umani“.
Con queste premesse si è tenuto in mattinata un acceso scambio di opinioni sul naufragio di Pylos tra la commissaria Johansson, il direttore esecutivo di Frontex, Hans Leijtens, il direttore di Fra, Michael O’Flaherty, e i membri della Commissione Libe. In cui la commissaria, seppur “preoccupata” dalle ricostruzioni dei media, ha chiuso ogni spiraglio a un coinvolgimento di Bruxelles nelle indagini: “La commissione non ne ha le competenze per indagare, è responsabilità degli Stati membri“.
La ricostruzione di Frontex: “Nessuna risposta dalle autorità greche”
Certo Bruxelles avrebbe la facoltà di mettere occhio quanto meno sull’operato dell’Agenzia europea delle Guardia di Frontiera e costiera, che però dal resoconto di Leijtens sembra ineccepibile. Anzi, anche il direttore esecutivo di Frontex alimenta i dubbi sulla bontà delle azioni intraprese da Atene. “Quando aerei o navi di Frontex individuano imbarcazioni che necessitano assistenza, informiamo immediatamente le autorità nazionali responsabili delle attività di soccorso nell’area e seguiamo poi le loro istruzioni, assicurandoci che le nostre azioni siano in linea con il diritto marittimo internazionale: questo è esattamente ciò che è accaduto il 13 e il 14 giugno scorsi”, ha chiarito Leijtens.
La ricostruzione fornita dal numero uno di Frontex comincia dal “dispiegamento sull’area di un velivolo, dirottato dall’operazione Themis in Italia”, che dopo aver avvisato l’autorità marittima greca è dovuto rientrare perché rimasto a corto di carburante. “Poi, per due volte, ci siamo offerti di dispiegare uno dei nostri droni, ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta” da Atene. A quel punto Frontex avrebbe deciso di sorvolare comunque la zona con il proprio drone, salvo poi dirottarlo “su una missione di ricerca e salvataggio a sud della Grecia”. Una volta conclusa quell’operazione, il drone “ha impiegato più di due ore di volo” per tornare nelle vicinanze del peschereccio, che nel frattempo era già affondato. In sostanza, ha ribadito Leijtens, “abbiamo offerto aiuto alla Grecia ma non c’è stata alcuna risposta da parte delle autorità”.
Questo resoconto va a sommarsi a quelli forniti dal capitano della petroliera Faithful Warrior, a cui sarebbe stato chiesto esplicitamente dalla Guardia Costiera di allontanarsi dal peschereccio, e a diversi reportage che dall’analisi dei movimenti delle altre navi che si trovavano nella zona inchioderebbero l’autorità marittima greca e il suo tentativo di respingere l’imbarcazione verso acque internazionali di competenza Sar italiana.
Ombre sulla criminalizzazione dei migranti in Grecia
Vista la celerità con cui Atene ha preso in custodia i sopravvissuti, evitando il più possibile qualsiasi contatto con la stampa, e individuato i presunti trafficanti, i dubbi sull’indipendenza dell’indagine avviata dal Tribunale marittimo sono legittimi. Sul trattamento riservato ai presunti scafisti emergono particolari inquietanti da uno studio condotto dall’ong Borderline Europe e commissionato dal gruppo dei Verdi all’Eurocamera. In Grecia ci sarebbero 2.154 persone imprigionate per traffico di esseri umani, con una condanna media di 46 anni di reclusione. “Tipicamente vengono arrestati immediatamente dopo lo sbarco e messi in custodia cautelare”, spiegano da Borderline Europe, che in una serie di interviste con i migranti accusati per aver guidato o aiutato a guidare le imbarcazioni hanno riportato testimonianze di “arresti arbitrari, coercizione, torture” e “abusi durante gli interrogatori“. E nessun accesso al supporto legale e alla traduzione dei documenti.
Secondo l’ong sarebbe questa la sorte toccata ai 9 egiziani, di certo non a capo di una potente organizzazione criminale, quanto piuttosto migranti che hanno pagato un prezzo ridotto per imbarcarsi sul peschereccio. “Siamo in contatto con gli avvocati, ci hanno detto che non hanno accesso ad alcuna informazione”, riferiscono da Borderline Europe.