Bruxelles – Quello che non va nel Green Deal. La fotografia scattata dal rapporto sull’economia circolare pubblicato oggi (3 luglio) dalla Corte dei Conti europea è preoccupante: la transizione verso un sistema improntato ai dettami del riciclo e del riuso si è inceppata ed è ben lontana dall’ambiziosa asticella che l’Ue si è posta per il 2030.
Tra il 2015 e il 2021 il tasso medio di circolarità – la quota di materie prime che derivano da riciclo sul totale delle materie prime utilizzate- per i 27 Paesi Ue è aumentato di soli 0,4 punti percentuali. Dall’11,3 all’11,7 per cento. Peggio ancora se si guarda alla differenza tra il 2019 e il 2021, periodo in cui l’Unione ha fatto segnare un sorprendente -0,1 per cento. “L’azione dell’Unione europea è stata finora impotente, purtroppo la transizione circolare è quasi a un punto morto“, è il commento serafico che arriva da Lussemburgo.
Perché nel periodo tra il 2016 e il 2020 Bruxelles ha stanziato oltre 10 miliardi di euro per favorire investimenti in economia circolare negli Stati membri e la Commissione europea ha presentato due piani d’azione per migliorare il riutilizzo dei materiali. Il primo nel 2015, quando il gabinetto dell’allora presidente Jean-Claude Juncker indicò 54 azioni specifiche per promuovere la produzione e il consumo sostenibili, a cui sono state aggiunte 35 nuove misure nel 2020. Il secondo piano d’azione si è spinto oltre, fissando l’obiettivo di raddoppiare il tasso di circolarità dell’economia europea entro il 2030. Un’ambizione che, visto il trend, secondo il rapporto della Corte dei Conti è “come cercare la quadratura del cerchio”.
La raccomandazione suggerita dalla Corte preposta al controllo delle finanze europee è lineare: “Migliorare il monitoraggio della transizione verso un’economia circolare negli Stati membri”. In effetti, in ben 7 Paesi Ue – Lituania, Svezia, Romania, Danimarca, Lussemburgo, Finlandia e Polonia- il tasso medio di circolarità è addirittura diminuito negli ultimi 5 anni. La Romania è fanalino di coda tra i 27, con un imbarazzante 1,4 per cento. Le fanno compagnia Finlandia (2 per cento) e Portogallo (2,5 per cento). Il rapporto fa notare che gli Stati membri “hanno speso la stragrande maggioranza dei fondi europei per gestire i rifiuti invece che impedirne la produzione attraverso la progettazione circolare, che avrebbe avuto probabilmente un impatto maggiore”.
L’Italia, seppur senza grandi miglioramenti dal 2015, conferma la buona sostenibilità del suo sistema industriale: con il 18,4 per cento di tasso di circolarità è ai gradini del podio in Ue, dietro solo a Francia (19,8), Belgio (20,5) e i virtuosissimi Paesi Bassi che riciclano più di un terzo delle materie prime utilizzate (33,8 per cento).
Della serie che può sempre andare peggio, il tasso medio di circolarità in Ue relativo al 2021 è comunque superiore rispetto a quello mondiale, diminuito in maniera drammatica dal 9,1 per cento del 2018 al 7,6 del 2022.