Bruxelles – La fumata al termine del Consiglio Europeo sul capitolo migrazione non è né bianca né nera. È di un grigio scuro, che fa capire che quasi nulla è andato nel verso giusto. Ma poteva comunque andare peggio. Il blocco Ungheria-Polonia sui due punti relativi al capitolo sulla migrazione delle conclusioni messe sul tavolo dei 27 capi di Stato e di governo non ha permesso nemmeno oggi (30 giugno) di raggiungere un compromesso di qualche tipo per impedire di dover arrivare alla soluzione estrema: depennarli dal testo finale. A tentare una mediazione in extremis è stata chiamata anche la prima ministra più vicina ai leader dei due Paesi – l’ungherese Viktor Orbán e il polacco Mateusz Morawiecki – ovvero l’italiana Giorgia Meloni, ma nulla ha permesso di superare l’ostruzionismo di Budapest e Varsavia. E così quelle che dovevano essere conclusioni del Consiglio Europeo si sono trasformate in conclusioni del presidente del Consiglio Ue, una formula più blanda (che soprattutto non richiede nessuna votazione) per dare voce a un testo supportato da 25 Paesi membri su 27.
A scatenare tutto il polverone politico è stata l’opposizione di Orbán e Morawiecki ai – pochi e quasi irrilevanti – riferimenti delle conclusioni alla dimensione interna della migrazione (accoglienza, ricollocamenti, procedure di asilo e tutto ciò che succede sul territorio Ue), in particolare sulla questione della solidarietà obbligatoria che rimane uno dei pochi punti favorevoli per l’Italia in base a quanto concordato nell’orientamento generale dei 27 ministri degli Interni lo scorso 8 giugno. Dopo più di sette ore e mezza di discussioni ieri (29 giugno) in cui sono state presentate “sei/sette proposte di compromesso” – secondo quanto riferiscono alti funzionari Ue – la premier italiana avrebbe ricevuto il mandato (su sua stessa proposta) dal presidente Michel di provare a condurre una mediazione con i due governi. Mediazione andata in scena questa mattina, ma senza frutti: Meloni avrebbe riferito “in un paio di frasi e molto sinteticamente” agli altri leader che non c’è stato nulla da fare per convincere Orbán e Morawiecki a mollare la presa. L’idea era quella di ‘spacchettare’ il capitolo migrazione in due – dimensione interna ed esterna – lasciando nelle conclusioni solo la parte su cui tutti i Ventisette sono d’accordo: la dimensione esterna (rafforzamento delle frontiere, relazioni con i Paesi terzi e tutto ciò che succede fuori dal territorio Ue).
E invece Polonia e Ungheria sono rimaste inamovibili sulla propria posizione, ovvero che tutto è connesso e non sono disponibili a fare concessioni (per ragioni propagandistiche ed elettorali). “Due membri – Polonia e Ungheria – non hanno voluto firmare in ragione del Patto, non solo per il contenuto ma anche per il processo decisionale a maggioranza qualificata”, ha spiegato Michel in conferenza stampa la decisione di pubblicare le sue conclusioni “sostenute da 25 su 27 Paesi membri”. Ciò che però emerge è che a tutti gli effetti è rimasta sul tavolo dei leader Ue solo la dimensione esterna, come recita il titolo delle stesse conclusioni del presidente del Consiglio Europeo. In altre parole l’interesse dei Ventisette a livello politico si concentra sul rafforzamento delle frontiere esterne e sulla prevenzione delle partenze e degli arrivi, anziché ragionare su un migliore coordinamento sull’accoglienza e sulla ricerca e soccorso in mare. Se la dimensione interna è sempre più marginale nei discorsi dei capi di Stato e di governo, non sparisce invece sul piano legislativo, con il Patto migrazione e asilo che continua il suo iter ai triloghi (negoziati inter-istituzionali tra Parlamento e Consiglio dell’Ue) nei diversi file che lo compongono. Il Patto non è stato minimamente toccato dalle discussioni di ieri e oggi, né tantomeno la maggioranza qualificata con cui si continuerà a lavorare a Bruxelles: “Non esce ammaccato perché non era in discussione al Consiglio, non è un tema che si riapre”, ha voluto mentre in chiaro anche Meloni.
“L’orientamento generale del Consiglio è stato un momento di svolta, ora possiamo procedere con il Parlamento per portarlo a termine con successo”, ha rivendicato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. “È stata una difficile discussione sulla solidarietà, ma non possiamo mollare perché i compromessi si raggiungono con un dibattito democratico”, le ha fatto eco Michel a proposito della miccia che ha fatto scoppiare la questione migrazione al vertice dei leader Ue. Dal canto suo la premier Meloni ha cercato di rivendicare un successo che è solo parziale, facendo un’analisi più attenta. Se è vero che l’Italia “ha avuto un ruolo da protagonista” – avendo ricevuto il riconoscimento del ruolo di mediatrice tra l’asse Polonia-Ungheria e il resto dei membri Ue – e che è interesse primario di questo governo spingere per “fermare i movimenti primari”, allo stesso tempo ci sono tre elementi da rilevare che rendono meno celebrativo questo momento per la premier italiana (anche se dice di “capire le ragioni di Polonia e Ungheria”). In primis dimostra che l’unità sovranista non esiste, soprattutto in questo campo, e che ogni nazionalista deve contare solo su di sé. Secondo, che la mediazione comunque è fallita, perché un punto di caduta favorevole sarebbe stato lo ‘spacchettamento’ per evitare di depennare tutto il capitolo sulla migrazione dalle conclusioni. E terzo, la dimensione interna della migrazione è un punto su cui l’Italia non può fare a meno, proprio per la sua posizione geografica e per la necessità strategica di essere sostenuta dagli altri Paesi membri nell’accoglienza di persone che – in qualsiasi caso – continueranno ad arrivare sul suo territorio.
Le conclusioni del presidente del Consiglio Ue sulla migrazione
I primi tre punti delle conclusioni del presidente del Consiglio Europeo riprendono perfettamente il capitolo sulla migrazione previsto dall’ultima bozza del documento messo sul tavolo dei 27 leader, fatta eccezione per il soggetto (appunto, “il Presidente” al posto del “Consiglio Europeo”). Il punto di partenza è il “profondo dolore per la terribile perdita di vite umane a seguito della recente tragedia nel Mediterraneo“, ovvero quella nel Mar Egeo nella notte tra il 13 e il 14 giugno. Allo stesso tempo che l’Unione Europea “rimane impegnata a spezzare il modello di business dei trafficanti e delle reti di contrabbando”, così come ad “affrontare le cause alla radice della migrazione irregolare“. Considerato poi il fatto che “la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea”, il presidente Michel ha preso atto del lavoro condotto dalla Commissione Ue sul piano operativo secondo il lavoro tratteggiato al vertice di febbraio: “Saranno intensificati i lavori su tutti i filoni d’azione, lungo tutte le rotte migratorie, in linea con il diritto internazionale“.
Se il terzo punto chiarisce che “il Consiglio Europeo terrà sotto controllo questi lavori”, dando una linea di continuità con le discussioni future, è l’ultimo il punto quello più controverso. E si tratta proprio dell’integrazione rispetto alle conclusioni proposte. “Si è preso atto che la Polonia e l’Ungheria hanno dichiarato che nel contesto dei lavori in corso sul Patto sulla migrazione e l’asilo, in linea con le precedenti conclusioni del Consiglio Europeo di dicembre 2016, giugno 2018 e giugno 2019, è necessario trovare un consenso su una politica efficace” in questa materia. Un punto controverso perché per la prima volta e in un documento ufficiale del Consiglio si mette nero su bianco le rivendicazioni di Varsavia e Budapest, senza contestualizzarle nella loro incoerenza: “Nel contesto delle misure di solidarietà, la ricollocazione e il reinsediamento dovrebbero essere su base volontaria e tutte le forme di solidarietà dovrebbero essere considerate ugualmente valide e non fungere da potenziale fattore di attrazione per la migrazione irregolare”. Nel Patto non esistono ricollocamenti obbligatori e ogni Paese membro può decidere in quale forma mostrare solidarietà quelli di primo arrivo, se operativa o finanziaria.