Bruxelles – Miele e Unione europea, una storia lunga almeno 22 anni e che a distanza di tutto questo tempo si arricchisce di un nuovo capitolo, quello della concorrenza sleale cinese. L’Ue già nel 2001, con tanto di direttiva specifica (‘direttiva miele‘) ha messo mano ad un settore in cui il club dei 27 è leader. L’Europa è il secondo produttore mondiale di questo prodotto, con il 12 per cento della quota globale. A farla da padrone è la Repubblica popolare cinese, che da sola vale un quarto (27 per cento) del mercato mondiale. Eppure, nonostante i numeri, il ‘made in EU’ non basta a soddisfare il fabbisogno interno, tanto che nel 2021 gli Stati membri dell’Ue, complessivamente, hanno dovuto acquistare dall’estero il 28,3 per cento di tutta la produzione. Europa seconda per produzione e pure per import. E qui si annidano le insidie.
Nell’Ue finiscono miscele di miele non a norma, non conformi ai requisiti e alla direttiva del 2001. Tanto che in Parlamento europeo Gianantonio Da Re (Lega/Id), ha acceso i riflettori su pratiche lesive di produttori e consumatori europei. Con tanto di interrogazione parlamentare si mette in guardia dal rischio di “vere e proprie frodi alimentari”, in quanto i vasetti riescono ad essere etichettati come europei quando non lo sono. Inoltre, continua Da Re, “secondo uno studio svolto da Unaapi (Unione Nazionale Associazione Apicoltori Italiani)” i prodotti cinesi “non sono conformi alla direttiva europea sul miele” del 2001 in quanto la produzione avviene attraverso un metodo consentito in Cina, ma non in Europa, ovvero la raccolta del miele quando è ancora immaturo per poi lavorarlo in laboratorio, allungandolo con lo sciroppo di zucchero.
Il problema c’è, eccome. La Commissione ammette che l’Ufficio anti-frodi dell’Ue (Olaf) “ha concluso che il 46 per cento del miele importato nell’Ue è sospettato di non essere conforme” agli standard comunitari, anche se non c’è solo la Cina a destare preoccupazioni. L’esecutivo comunitario riconosce che, sì, “il numero assoluto più elevato di spedizioni sospette è originario della Cina (74 per cento)”, ma contestualmente alla luce di controlli “il miele originario della Turchia presentava la percentuale relativa più elevata di campioni sospetti (93 per cento)”.
Ancora, la Brexit rischia di fare del Regno Unito uno Stato da cui guardarsi, quando si parla di miele. Il miele importato da oltre Manica presenta “un tasso di sospetto ancora più elevato (100 per cento), probabilmente a causa del miele prodotto in altri Paesi e ulteriormente miscelato nel Regno Unito prima della sua riesportazione nell’Ue”.
A Bruxelles si intende correre ai ripari. Ad aprile di quest’anno il team von der Leyen ha proposto la modifica della direttiva miele. “La misura chiave”, ricorda la commissaria per la Saluta e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides, è l’introduzione dell’etichettatura del Paese d’origine per le miscele di miele. Una misura che certamente trova i favori dell’Italia, da sempre strenua sostenitrice dei sistemi di indicazione e tracciabilità del prodotto. Con questa proposta, ribadisce Kyriakides, “i consumatori avrebbero la possibilità di leggere sull’etichetta del miele l’elenco completo dei paesi di origine del miele, indipendentemente dal fatto che si tratti di Stati membri o paesi terzi”. Dipende da come andrà il negoziato inter-istituzionale tra Parlamento e Consiglio. In Europa la questione del miele cinese è nota e si sta correndo ai ripari.