Bruxelles – Cambio di guardia a Bucarest. Nonostante le tensioni politiche che hanno accompagnato la formazione del nuovo governo, la Romania ha un nuovo esecutivo e un nuovo primo ministro, tutto in linea con quanto stabilito già a fine 2021. Il leader del Partito Socialdemocratico (Psd), Marcel Ciolacu, ha preso il testimone da quello del Partito Nazionale Liberale (Pnl), Nicolae Ciucă, concretizzando il protocollo politico siglato nel novembre di due anni fa per scongiurare elezioni anticipate dopo il crollo dell’esecutivo dell’ex-leader liberale, Florin Cîțu.
Concluso l’anno e mezzo di governo di Ciucă, giovedì scorso (15 giugno), il Parlamento bicamerale della Romania ha approvato a larga maggioranza l’insediamento di Ciolacu, che proseguirà il lavoro alla guida della coalizione di socialdemocratici e liberali fino all’appuntamento elettorale della fine del 2024 (quando si svolgeranno sia le elezioni presidenziali sia quelle per il rinnovo del Parlamento). Non tutto è però filato liscio nel passaggio di consegne. Inizialmente prevista per il 25 maggio, la rotazione è rimasta in stallo per tre settimane a causa sia degli scioperi degli insegnanti pubblici sia dello scoglio del terzo partner di minoranza della coalizione del 2021, l’Unione Democratica Magiara di Romania (Udmr) che rappresenta gli interessi della comunità ungherese nel Paese. Nel rimpasto dei ministeri l’Udmr ha perso quello per lo Sviluppo e l’amministrazione e questo nodo ha reso impossibile trovare un compromesso per continuare con la stessa maggioranza in Parlamento. Ora la Romania sarà guidata da un governo bicolore giallo-rosso (liberali e socialdemocratici) che in Senato è supportato da 95 membri su 136 e alla Camera dei Deputati da 208 su 300.
“Il nostro obiettivo è realizzare tutte le riforme e le promesse sociali che abbiamo fatto da questa piattaforma”, ha assicurato al Parlamento il neo-premier Ciolacu, rispondendo alle sfide interne che riguardano l’ondata di scioperi nel settore dell’educazione pubblica, ma anche quelli minacciati dai lavoratori della sanità e dei trasporti. Ma a livello europeo c’è un’altra grande sfida per la coalizione di governo rinnovata, su cui il presidente della Repubblica, Klaus Iohannis, sta spingendo con forza a ogni Consiglio Europeo a Bruxelles: fare ingresso nello spazio Schengen. Nel dicembre dello scorso anno la Romania è stata bloccata da Austria e Paesi Bassi nel suo percorso verso l’area che ha abolito le frontiere interne, in particolare per questioni riguardanti la gestione delle rotte migratorie e della protezione delle frontiere esterne dell’Unione. Uno stallo che ha indispettito la Commissione Europea e che ha causato tensioni tra i leader dei 27 Paesi membri: “Vogliamo essere trattati come tutti gli altri, tutto il resto è politica interna dei Paesi che ancora bloccano”, ha attaccato al Consiglio del dicembre 2022 il presidente della Bulgaria, Rumen Radev, che come quello della Romania ha contestato il veto di Amsterdam e Vienna sul percorso Schengen di Bucarest e Sofia.