Bruxelles – L’Italia al palo, la Polonia accelera. Si possono riassumere così le ultime evoluzioni degli investimenti nel settore strategico dei microchip nell’Unione Europea, con la multinazionale statunitense Intel che con le proprie scelte di mercato sposta gli equilibri all’interno dei Ventisette. L’ultima notizia riguarda lo stanziamento pari a 4,2 miliardi di euro per la costruzione di uno stabilimento di microchip in Polonia, perfettamente in linea con la strategia di Bruxelles di rendere più solida e sostenibile la catena dei semiconduttori. Un’ambizione che dal marzo dello scorso anno – quando Intel ha annunciato un piano da oltre 33 miliardi di euro in Europa – dovrebbe riguardare anche l’Italia. Dopo mesi in cui l’accordo è stato dato praticamente per fatto, oggi il condizionale è d’obbligo, perché da Roma è quasi calma piatta. Con il rischio di perdere il treno dell’innovazione industriale e un investimento da 4,5 miliardi di euro.
“La Polonia è già sede di attività Intel ed è ben posizionata per lavorare con gli stabilimenti in Germania e Irlanda”, ha commentato l’amministratore delegato di Intel, Pat Gelsinger, sottolineando il ruolo del Paese nella transizione digitale del prossimo decennio. Come si legge nella nota diramata dall’azienda statunitense, il nuovo sito di microchip nei pressi di Breslavia sarà legato a quello già esistente in Irlanda e a quello previsto a Magdeburgo (nella Silicon Saxony visitata di recente dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen), la cui vicinanza “consentirà una stretta collaborazione tra i tre siti produttivi e contribuirà ad aumentare l’efficienza dei costi della catena europea di fornitura dei semiconduttori”. Quello irlandese e quello tedesco sono impianti di produzione di microchip su wafer di silicio attraverso processi chimici, meccanici e ottici avanzati, mentre l’impianto polacco sarà adibito all’assemblaggio e al collaudo per il taglio dei wafer in singoli microchip, la fabbricazione di prodotti finali e la verifica delle prestazioni. La progettazione e la pianificazione dell’impianto inizieranno “immediatamente” – rende noto l’azienda – mentre per la costruzione sarà necessario attendere il via libera della Commissione Europea. È prevista l’assunzione di circa duemila dipendenti, oltre alla creazione di “migliaia di posti di lavoro” nel mercato dei fornitori che ruoterà attorno allo stabilimento di Breslavia.
Una prospettiva a cui aspira anche l’Italia e che nell’autunno dello scorso anno sembrava cosa fatta. Tanto che già si parlava di quale regione e città si sarebbe aggiudicata l’investimento storico da 4,5 miliardi di euro di Intel, con benefici su tutto l’apparato industriale diretto e indiretto: la scelta sembrava ricaduta su Vigasio (paese della provincia di Verona), ben collegato per il trasporto delle merci in arrivo da Magdeburgo su ruota e ferrovia, trovandosi in posizione geografica strategica lungo l’asse del Brennero che collega l’Italia alla Germania. Tuttavia nei mesi invernali la fuga in avanti sembra essersi arrestata, con lo stesso amministratore delegato di Intel Gelsinger che dal palco del Forum Economico Mondiale di Davos (a cui il governo Meloni non ha preso parte con nessun responsabile per l’Economia, le imprese o il digitale) ha avvertito sia che l’European Chips Act non è ancora pronto, sia che l’Italia è in corsa ma “con altri candidati”. A Eunews fonti del Ministero delle imprese e del made in Italy fanno sapere che con Intel “proseguono le interlocuzioni per una presenza dell’azienda in Italia”. Ma al momento altro non è dato sapere, mentre in Polonia è quasi tutto pronto per rendere Varsavia uno degli hub dei microchip nel decennio digitale dell’Ue.
La strategia Ue sui microchip
A Bruxelles è in fase di ultimazione la legislazione comunitaria sui microchip, l’European Chips Act, che affronterà la carenza di semiconduttori sul territorio dell’Unione. È del 18 aprile l’accordo provvisorio tra i co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue sulla proposta della Commissione per raddoppiare la quota di mercato globale dell’Ue nel settore dei semiconduttori entro il 2030, dal 10 ad almeno il 20 per cento. Che, in altri termini, equivale in realtà a quadruplicare la produzione dei microchip, dal momento in cui il settore è destinato a raddoppiare esso stesso nel prossimo decennio.
Sul piano dell’architettura finanziaria l’European Chips Act mobiliterà 43 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati, di cui 3,3 miliardi dal bilancio dell’Ue, concentrandosi su tre pilastri fondamentali. Il primo è Chips for Europe, l’iniziativa che metterà in comune le risorse dell’Unione, degli Stati membri, del settore privato e dei Paesi terzi associati ai programmi esistenti Ue per sostenere lo sviluppo di capacità tecnologiche e le relative attività di ricerca e innovazione. Su questo punto sarà creato un nuovo obiettivo per i semiconduttori nell’ambito del Programma Europa Digitale (da 3,3 miliardi di euro, appunto, nei limiti dell’accordo sul Quadro finanziario pluriennale, aggiungendosi alle risorse già stanziate anche dallo Strumento per la ripresa e la resilienza). Il coordinamento arriverà dal partenariato pubblico-privato Chips Joint Undertaking, che sarà responsabile della selezione dei centri di eccellenza nell’ambito del suo programma di lavoro.
Il secondo pilastro è il nuovo quadro per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e la resilienza, attirando maggiori investimenti. Tra i cosiddetti impianti ‘primi nel loro genere’ sono inclusi quelli che producono apparecchiature utilizzate nella produzione di semiconduttori, potendo così beneficiare di procedure accelerate per la concessione dei permessi. A questo si aggiunge il fatto che i centri di progettazione che migliorano “in modo significativo” le capacità dell’Unione nella progettazione di microchip innovativi possono ricevere il marchio europeo di centro di progettazione di eccellenza, con misure di sostegno dai Paesi membri. Il terzo pilastro è invece il meccanismo per monitorare la catena di fornitura dei semiconduttori e coordinare le azioni in situazioni di crisi, attraverso cui gli indicatori di allerta precoce negli Stati membri saranno utilizzati per attivare un allarme di carenza a livello europeo. La Commissione potrà così attuare misure di emergenza, come dare priorità alla fornitura di prodotti particolarmente colpiti da una carenza o effettuare acquisti comuni per gli Stati membri.