Bruxelles – Polonia e Ungheria, sempre loro. Il delicatissimo accordo raggiunto giovedì scorso (8 giugno) in seno al Consiglio dell’Ue su due file-chiave del Patto migrazione e asilo si scontrano già con un fronte che promette di fare di tutto pur di affossarlo e, in caso di fallimento nel sabotaggio, di non permettere la piena implementazione sul campo una volta che avrà forza di legge. I due alleati più stretti del governo italiano guidato da Giorgia Meloni mostrano ancora una volta di più che il blocco dei sovranisti sembra sempre più unito di quanto non sia in realtà, dal momento in cui si scioglie come neve al sole nel momento della resa dei conti.
“Oggi ho informato il gruppo parlamentare Fidesz sulle conseguenze della decisione di Bruxelles, l’adozione della quota obbligatoria di migranti è contraria alla decisione del popolo ungherese attraverso il referendum“, è quanto scrive su Twitter il portavoce del governo ungherese, Zoltan Kovacs, riportando le parole del primo ministro Viktor Orbán: “Bruxelles non può abusare del suo potere e nessuno può dire agli ungheresi con chi dobbiamo vivere”. Il riferimento è al referendum del 2016, che però è fallito – e questo non a caso Orbán evita di dirlo – per non aver raggiunto il quorum. Già durante la sessione pubblica del Consiglio Affari Interni di giovedì scorso il ministro degli Interni ungherese, Bence Rétvári, aveva avvertito che “è stata scavalcata la decisione del Consiglio di non votare a maggioranza qualificata, porteremo la questione al prossimo Consiglio Europeo” in programma il 29-30 giugno.
Da Varsavia è ancora più diretta la minaccia di portare avanti una battaglia senza quartiere all’accordo sui due file decisivi del Patto migrazione e asilo, il Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione (Ramm) e il Regolamento modificato sulle procedure di asilo (Apr). A renderlo noto è stato lo stesso portavoce del governo polacco, Piotr Müller: “La Polonia bloccherà le soluzioni relative al ricollocamento dei migranti” attraverso la formazione di “una coalizione di forze di opposizione al Parlamento Europeo”. Uno scenario comunque complesso – dal momento in cui gli eurodeputati hanno già adottato la propria posizione sui file Ramm e Apr – e perciò è molto più significativa l’altra minaccia: “Abbiamo il diritto di rifiutare gli impegni e di andare contro questa decisione” una volta che avrà forza di legge a livello comunitario. Sempre al vertice ministeriale dell’8 giugno il ministro degli Interni polacco, Bartosz Grodecki, ha definito un “ricatto sotto forma di tassa” la possibilità di fornire un contributo finanziario pari a 20 mila euro per persona migrante non accolta in caso di rifiuto di accettare i ricollocamenti, secondo l’accordo sulla solidarietà obbligatoria.
Ungheria e Polonia sono stati gli unici Paesi membri Ue che hanno votato contro il compromesso sui due file del Patto migrazione e asilo tra i 27 ministri degli Interni. Un accordo in cui il voto favorevole dell’Italia è stato decisivo per il via libera, arrivato dopo un lungo braccio di ferro con la presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue per evitare un fallimento dei negoziati che sarebbe stato imbarazzante per tutta l’Unione. Anche se per l’Italia sono molti i punti che rendono difficilmente digeribile l’accordo (la responsabilità estesa a 24 mesi, l’obbligo di portare a termine la procedura di frontiera entro 6 mesi per tutte le persone salvate durante operazioni di ricerca e soccorso in mare, e soprattutto il non-superamento del sistema di Dublino, dal momento in cui a essere obbligatoria è la solidarietà ma non i ricollocamenti), il governo Meloni ha comunque deciso di rompere il fronte dei contrari pur di rivendicare un successo in patria nel trovare una soluzione europea alla questione migratoria. Ed è altrettanto evidente che Polonia e Ungheria non stanno facendo nulla per sostenere il più grande Paese membro teoricamente a loro più vicino (la premier italiana è anche presidente del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei, di cui fa parte il partito del premier polacco, Mateusz Morawiecki, e non ha mai nascosto la sua vicinanza al premier ungherese Orbán). Varsavia e Budapest non vogliono superare il meccanismo di Dublino – secondo cui la richiesta di asilo di una persona che fa ingresso in modo irregolare sul territorio comunitario deve essere esaminata dal primo Stato membro Ue a cui accede – né tantomeno accettare ricollocamenti o contributi finanziari.
Il processo negoziale del Patto migrazione e asilo
Il Patto migrazione e asilo è stato presentato dalla Commissione Europea il 23 settembre 2020 ma, di fronte alle difficoltà del processo negoziale, nel settembre dello scorso anno i co-legislatori hanno concordato una tabella di marcia per adottare nove file entro la fine della legislatura (nella primavera del 2024). In fase di negoziati inter-istituzionali ci sono già quattro file: quello sul Regolamento modificato sulle procedure di asilo (iniziati il 18 aprile a livello di principi generali) sul Regolamento sullo screening (25 aprile), sul Regolamento Eurodac modificato (dal 15 dicembre) e da oggi anche quello sul Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione. Sempre il 15 dicembre è stato raggiunto un accordo politico su tre dossier (ereditati dai negoziati sulle proposte della Commissione del 2016): la Direttiva sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, il Regolamento sul nuovo quadro di reinsediamento e il Regolamento sulle qualifiche.
Dei nove file del Patto migrazione e asilo secondo la tabella di marcia di settembre 2022 al Consiglio manca ora all’appello il Regolamento per le crisi e le cause di forza maggiore (gli eurodeputati hanno adottato la propria posizione lo scorso 20 aprile), mentre il Parlamento Europeo non ha ancora trovato un’intesa sulla Direttiva sui rimpatri (i 27 ministri partono invece dalla posizione parziale negoziata nel giugno 2019).
Al di fuori dei nove dossier previsti dalla tabella di marcia per adottare il Patto migrazione e asilo entro la fine della legislatura (nella primavera 2024) ci sono altre cinque dossier, di cui solo due sono stati adottati: la Direttiva Blue Card nel maggio 2021 e la trasformazione dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) nell’Agenzia europea per l’asilo (Euaa), da gennaio dello scorso anno. I mandati negoziali del Parlamento Ue sulla Direttiva modificata sui soggiorni di lungo termine e quello sulla Direttiva modificata sulla procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico di soggiorno e lavoro devono invece essere ancora adottati dal Consiglio dell’Ue. Nessuno dei due co-legislatori è invece avanzato sul Regolamento sulla strumentalizzazione nel campo della migrazione e dell’asilo. Anzi, durante il confronto del 9 dicembre dello scorso anno tra 27 ministri degli Interni è stata certificata la minoranza sul file, almeno per il momento.